Ventidue milioni di donne e 5,5 milioni di uomini in Europa hanno l’osteoporosi. Se non si interverrà con un’adeguata prevenzione e una diagnosi precoce, l’Oms stima un incremento del 23% di incidenza della patologia, che nel 2025 interesserà ben 33,9 milioni di persone. Per questo specialisti ed esperti da tutt’Europa, intervenuti al Congresso della Fondazione Internazionale dell’Osteoporosi (www.iofbonehealth.org) al Rome Cavalieri Hotel dal 17 al 20 aprile, hanno pubblicato la prima Carta dell’Osteoporosi (Scorecard) che fa il punto della diffusione della malattia, della diagnosi, dei trattamenti messi in atto in 27 Paesi europei. «Ogni anno si verificano 3,5 milioni di nuove fratture, circa 9.556 al giorno», conferma John A. Kanis, presidente dell’IOF. «Di queste 610 mila riguardano il femore, 520 mila le vertebre, 560 mila l’avambraccio e le restanti altri siti come bacino, coste, tibia, scapola, clavicola… Due terzi di tutte queste fratture si verificano nelle donne e spesso le conseguenze sono causa di mortalità: nel 50% dei casi si tratta di fratture di anca, nel 28% vertebrali e nel 22% altre fratture. I costi legati all’osteoporosi sono molto elevati e si stimano di 37 miliardi l’anno». Come ridurre queste spese e soprattutto abbassare l’incidenza della malattia? «La diagnosi precoce e l’uso preventivo di farmaci mirati potrebbe diminuire costi e incidenza della malattia, migliorando la qualità di vita delle persone colpite».
Un esempio a riguardo viene dalla nostra nazione, in particolare dal Progetto TARGET attuato nella Regione Toscana. Sono state monitorate tutte le persone sopra i 65 anni che avevano subito una frattura: di queste solo il 12% seguiva regolarmente una terapia per ridurre il rischio di un’altra frattura. Dopo un anno di monitoraggio e sensibilizzazione degli ortopedici, la percentuale di utilizzo dei farmaci è passata al 30%. «Da questo progetto pilota si evincono alcune indicazioni, che potrebbero essere suggerite anche a livello europeo per colmare le carenze ancora presenti in molti Paesi nella gestione di questa patologia», puntualizza la professoressa Maria Luisa Brandi, docente di Endocrinologia e Malattie del metabolismo osseo e presidente della Fondazione FIRMO (www.fondazionefirmo.com). Alla professoressa Brandi, durante il Congresso, è stato conferito il Premio Pierre Delmas Award, il più prestigioso riconoscimento al mondo nel campo dell’osteoporosi. «Innanzitutto una maggiore sensibilizzazione dei medici di base sulla prevenzione primaria della malattia, con suggerimenti dietetici e di praticare sani stili di vita. In secondo luogo il riconoscimento e la diagnosi precoce del paziente a rischio di osteoporosi , attraverso la diffusione di esami strumentali come la MOC per evidenziare le carenze di massa ossea allo stadio iniziale, quando ancora si possono modificare con un’integrazione dietetica. E, infine, nei casi di diagnosi di osteoporosi, l’intervento con farmaci mirati che devono essere prescritti e rimborsati dal Sistema sanitario, senza i limiti attualmente esistenti della pregressa frattura e dell’età superiore a 70 anni. Molte fratture avvengono infatti subito dopo i 50 anni e non è accettabile che queste persone non possano seguire una terapia efficace solo perché i farmaci di ultima generazione sono rimborsati dopo i 70 anni… C’è ancora molto da fare per sensibilizzare le Istituzioni a queste problematiche. E ci auguriamo che la Carta dell’osteoporosi europea serva come sprone per il nostro Paese a uniformarsi alle legislazioni tuttora vigenti in altre nazioni dove la cura dell’osteoporosi è più attenta e capillare. Un esempio per tutti riguarda i nuovi farmaci “biologici” o anticorpi monoclonali, tra i quali denosumab, un farmaco ad azione mirata sulla ricostruzione dell’osso, che si somministra con due iniezioni sottocute all’anno. In molti Paesi europei è prescrivibile anche in età giovanile, dopo una frattura per prevenirne una successiva. In Italia purtroppo vale la prescrizione solo dopo i 70 anni, un limite assurdo, pensando che molte fratture avvengono prima di quell’età e l’utilizzo di questo farmaco potrebbe realmente ridurre il rischio di una ri-frattura, con conseguente eliminazione di spese mediche e di ricovero ospedaliero che questa situazione comporta, per non parlare del miglioramento della qualità di vita e della riduzione anche della mortalità».
di Paola Trombetta