«Lo avevo da diversi anni sulla schiena. Un neo di un centimetro circa che all’improvviso si è ingrossato e ha cominciato a provocare prurito. Subito la visita del dermatologo che, dopo la biopsia e l’esame istologico, ha confermato la diagnosi: melanoma». Così Franca racconta l’esordio della sua malattia, che all’inizio ha richiesto un semplice intervento chirurgico. Ma dopo dieci anni la malattia si è ripresentata con maggiore aggressività, per la presenza di noduli metastatici. Franca ha partecipato lo scorso anno alla sperimentazione di un nuovo farmaco, in commercio da pochi giorni (ipilimumab), che sembra avere raddoppiato la sopravvivenza. I promettenti risultati dello studio (Nibit M1), iniziato a luglio 2010 e terminato ad aprile 2011 su 86 pazienti, sono stati pubblicati di recente sulla prestigiosa rivista Lancet Oncology e hanno permesso di dare il via a una seconda sperimentazione (Nibit M2), presentata in questi giorni a Milano.
«Si tratta di uno studio più ampio, condotto su 146 pazienti, dove saranno inclusi melanomi allo stadio avanzato, con metastasi cerebrali, presenti nel 50% dei casi», spiega il professor Michele Maio, presidente della Fondazione Nibit e direttore dell’Immunoterapia oncologica del Policlinico Santa Maria alla Scotte di Siena, che coordina lo studio al quale afferiscono 10 centri italiani. «Lo studio è partito a gennaio 2013 e terminerà nel 2015: arruolerà 146 pazienti con melanoma avanzato, metastasi cerebrali e che non hanno seguito precedenti terapie. Saranno divisi in due gruppi: quelli con trattamento combinato di ipilimumab e chemioterapico fotemustina e quelli con il solo chemioterapico». La scommessa? «Aumentare ulteriormente la sopravvivenza dei pazienti e bloccare il più possibile la crescita del tumore», replica la dottoressa Anna Maria Di Giacomo, oncologa presso il Dipartimento di Immunoterapia oncologica di Siena e coordinatrice dello studio Nibit M2. «Dal precedente Nibit M1 siamo passati da una sopravvivenza del 25%, con trattamento chemioterapico standard, al 52,6% con la combinazione dei due farmaci, ipilimumab e fotemustina. Questa terapia combinata consente di bloccare il decorso della malattia nel 46,5% dei pazienti (40 su 86). In alcuni casi si è registrata addirittura una remissione completa (come per la signora Franca), in altri parziale, con stabilizzazione della malattia. L’introduzione del nuovo farmaco ipilimumab rappresenta dunque una svolta importante nella cura del melanoma, che causa ancor oggi 1500 decessi su 7000 nuovi casi: verrà utilizzato da solo, ma anche in combinazione con altri farmaci allo scopo di migliorarne l’efficacia, come l’associazione con il chemioterapico fotemustina che non produce i classici effetti collaterali, soprattutto nausea e perdita di capelli, che scoraggiano molto le donne».
Paola Trombetta
PER UNA DIAGNOSI SEMPRE PIU’ PRECOCE…
Nuove speranze per la diagnosi del melanoma. Sarebbe stato identificato il primo marcatore in grado di identificare la malattia, attraverso un prelievo del sangue e l’analisi del siero, in fase precoce. La notizia arriva dall’Istituito Superiore di Sanità (ISS), a seguito di uno studio finanziato dai fondi dell’accordo Italia-Usa, a cui hanno collaborato due ospedali romani – l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata Idi-Irccs e l’Ospedale Sant’Andrea. Promettenti i risultati, seppure preliminari (lo studio è stato condotto su 10 pazienti), e positivo il parere degli esperti. «Avere un marker affidabile per la diagnosi tempestiva del melanoma – spiega Enrico Garaci, presidente dell’ISS – consente l’efficacia chirurgica, possibile solo in stadi preliminari, oltre i quali occorre invece ricorrere alla terapia farmacologica con probabilità di successo molto più limitate». “Trident”, questo il nome della metodica innovativa basata sulla proteomica (scienza che studia l’insieme delle proteine, la loro struttura, funzionalità e interazione all’interno di un sistema biologico), consente di analizzare il siero in toto e di ricercare al suo interno alcune specifiche molecole (apolipoproteine) espresse in maniera sensibilmente differente in caso di melanoma cutaneo e in assenza di malattia. Prossimo passo dello studio è confermare le potenzialità della metodica su un numero più vasto di pazienti e valutare l’applicabilità di Trident anche ad altre neoplasie.
Francesca Morelli