<A 37 anni ho avuto un tumore alla mammella destra. Mi sono rivolta a un primo specialista che mi aveva assolutamente raccomandato di farmi operare in un centro privato perché, a suo dire, il pubblico è inaffidabile. Un secondo specialista di Napoli aveva fatto delle advances assolutamente inopportune… Per fortuna ho incontrato un terzo specialista, professore all’Ospedale Sant’Andrea di Roma, che si è offerto di seguirmi e mi sono fidata>. Flaminia Fegarotti, attrice di professione, racconta la sua esperienza di malata oncologica in una struttura ospedaliera di “eccellenza”, che ha da poco ottenuto il riconoscimento europeo come Breast Unit, specializzata per la cura del tumore al seno. <Nel 2007 ho subito la mastectomia totale e la contestuale ricostruzione del seno destro. Un risultato perfetto, che non mi ha dato problemi sul piano estetico: essendo attrice, l’immagine corporea è molto importante. Ma soprattutto non ho avuto conseguenze psicologiche: dopo interventi demolitivi di una parte del corpo così delicata, l’immagine della propria femminilità subisce un duro colpo e spesso le donne entrano in depressione. In questo ospedale ho trovato un ambiente molto attento alle problematiche psicologiche. Durante i giorni di degenza sono state seguita da un’équipe di medici (senologa, oncologa, chirurgo plastico), dalla psicologa, dalla dietologa, dal fisioterapista per la riabilitazione del braccio. E’ molto importante essere nelle mani di personale competente e soprattutto avere momenti di confronto con le altre pazienti e di svago, come i pomeriggi dedicati alla palestra o al make-up. Questo ti fa sentire “normale”, viva, non ammalata o, peggio ancora, menomata dalla malattia! Nello stesso tempo ti dà la tranquillità psicologica di essere seguita: ogni sei mesi venivo chiamata per i controlli e purtroppo, dopo due anni, mi hanno diagnosticato un secondo tumore al seno sinistro, di tutt’altra natura rispetto al primo. Non ho avuto dubbi e sono rimasta all’Ospedale Sant’Andrea, dove mi sento in famiglia. Anche quando facevo la chemioterapia, necessaria per questo secondo tumore, non mi sembrava di essere in ospedale: mi sentivo a casa, tra gente che mi voleva bene e si prendeva cura di me. Non avrei mai immaginato, prima di questa esperienza, di quanto fosse importante scegliere l’ospedale giusto: trovare il personale dedicato e, nel giro di pochi giorni, avere la diagnosi e la cura, senza dover peregrinare da un reparto all’altro o da un ospedale all’altro. Sono veramente grata a questa struttura, così ben organizzata, e a tutto il suo staff: mi hanno salvato la vita, ma soprattutto mi hanno dato la voglia di vivere! E per coronare questa gioia………a marzo nascerà un bel maschietto!>.
COSA SONO LE BREAST UNIT?
<Sono reparti multidisciplinari, esclusivamente “dedicati” alla donna con un tumore al seno, che viene presa in carico da diversi professionisti, dal momento della diagnosi fino alle dimissioni, senza costringerla a fare “turismo ospedaliero”,peregrinando da un ospedale all’altro>, puntualizza il professor Paolo Marchetti, direttore dell’Unità di Oncologia Medica dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma che, proprio in questi giorni, ha ottenuto il riconoscimento da parte di ESMO (European Society for Medical Oncology) e di EUSOMA (European Society of Breast Cancer Specialists) tra i 16 centri di eccellenza al mondo per il 2012. <Nel nostro centro puntiamo sull’utilizzo delle terapie più innovative e meno invasive, in grado di diminuire l’impatto delle cure, come gli anticorpi monoclonali a somministrazione sottocutanea, che creano meno disagio alla paziente rispetto alle terapie per infusione. Il nostro centro rientra nel progetto “All around patients”, per l’utilizzo di terapie oncologiche sottocutanee. Nella pratica quotidiana ci occupiamo concretamente della valutazione del dolore post-operatorio, dell’astenia, spesso causata dalle cure, dei supporti dietetici e dell’attività fisica. Recenti studi scientifici hanno dimostrato come l’inserimento della ginnastica nel percorso di cura delle donne che fanno chemioterapia rende più tollerati i trattamenti. Oltre alla fisioterapia, disponiamo di metodiche microinvasive, per stabilizzare le metastasi vertebrali, che permettono alle pazienti, immobilizzate a letto, di recuperare il movimento. Nella Breast Unit sono previste anche attività ludico-ricreative (teatro, scuole di ballo, arte-terapia, make-up) che aiutano le pazienti a socializzare e ridurre il carico della sofferenza. In più organizziamo incontri con i familiari per elaborare il vissuto della malattia. Abbiamo da poco avviato uno studio per valutare la percezione della diagnosi di tumore tra i familiari della donna malata (marito, figli, genitori)>.
<La vita della donna, ma anche dei familiari, cambia completamente nel momento in cui il medico pronuncia la parola “tumore”>, fa notare la dottoressa Adriana Bonifacino, responsabile dell’Unità di Senologia all’Ospedale Sant’Andrea di Roma e presidente dell’Associazione IncontraDonna Onlus che prevede al Foro Italico una serie di iniziative per le donne operate di tumore (laboratori teatrali, corsi di yoga, pilates, danza indiana, corsi di cucina- www.incontradonna.it). <Ti passa davanti, come in un film, la tua vita: i figli, il partner, la famiglia, il lavoro, gli amici, tutto all’improvviso sembra precario e cade ogni certezza. Per questo è importante trovare persone che infondano sicurezza, che diano fiducia, non solo sulle cure, ma soprattutto sui progetti di vita. Molti lavori scientifici confermano che le iniziative di supporto alle pazienti, la condivisione della malattia, una sana alimentazione, l’attività fisica, riducono le recidive, migliorando la guarigione>.
L’obiettivo è oggi quello di avere un numero di Breast Unit per soddisfare le richieste delle donne con tumore al seno. Secondo la direttiva europea, è prevista una struttura ogni due milioni di abitanti. In Italia, dunque, dovrebbero essercene almeno una trentina: oggi i centri italiani certificati EUSOMA sono solo tre.
L’ASSOCIAZIONE EUROPA DONNA
La certificazione dei centri è tra gli obiettivi dell’Associazione Europa Donna (www.europadonna.it) che da quasi vent’anni si impegna per le donne operate al seno. Fondata da Rosanna D’Antona, che, partendo dalla sua esperienza di malattia, ha voluto prodigarsi per le tante donne con lo stesso problema, si pone come tramite tra le Istituzioni e le Associazioni di pazienti. <Ci proponiamo entro il 2016 di favorire il riconoscimento di almeno una ventina di Breast Unit sul territorio e far ottenere loro la certificazione EUSOMA>,puntualizza Rosanna D’Antona. <Uno dei traguardi da poco raggiunti da Europa Donna è stata la rimborsabilità dell’intervento di ricostruzione del seno, che viene eseguito subito dopo l’asportazione. Ci stiamo anche adoperando per sensibilizzare le aziende a effettuare test di screening mammografico alle proprie dipendenti e di tutelare le donne operate, quando rientrano al lavoro, favorendo la richiesta di permessi per le visite e gli esami di controllo ed eliminando lo stigma, purtroppo ancora diffuso, del “ritorno dalla malattia”, come si trattasse di una persona “menomata” che non è in grado di riprendere in piena efficienza il proprio lavoro. Le donne operate non sono “menomate”, né hanno rendimenti insufficienti a causa della malattia! Sono donne che hanno affrontato una lunga sofferenza, ma per le quali la ripresa lavorativa può diventare un modo per reagire, un incentivo a riprendere una progettualità di vita che la malattia aveva, in parte, interrotto. Ecco allora un motivo in più, che dovrebbe essere preso in considerazione dalle aziende per agevolare il rientro delle donne operate sul posto di lavoro>. Qualche azienda ha già risposto con progetti più o meno articolati. In particolare la SISAL (azienda che gestisce i giochi pubblici affidati in concessione) ha aderito al progetto pilota di Europa Donna, che ha come obiettivi: una capillare informazione all’interno dell’azienda, con volantini e manifesti; la facile reperibilità delle dipendenti su Internet di materiale informativo sulla diagnosi precoce; la possibilità di informarsi con due educational, appena conclusi a Milano e a Roma, per la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore al seno>.
di Paola Trombetta
CHEMIO SI’, CHEMIO NO: LO DICE UN NUOVO TEST
E’ un nuovo test genomico (Oncoptype DX) che consente di stabilire se è indicata o no la chemioterapia nel tumore al seno. Già utilizzato negli Stati Uniti e in Canada, dove ha ottenuto il riconoscimento dell’ASCO (American Society of Cancer Oncology) e della canadese NCCN (National Comprehensive Cancer Society of Clinical Oncology), è già utilizzato in alcuni Paesi europei, come Germania, Francia, Irlanda, Spagna, Grecia. Quattrocentomila sono le donne che hanno finora beneficiato di questo test. In che cosa consiste e per quali donne è indicato? <Si tratta di un test molecolare, su materiale ricavato dalla biopsia del tessuto tumorale, che consente di individuare 21 geni, predittivi della presenza di particolari recettori che rispondono oppure no alla chemioterpia>, spiega il dottor Giampaolo Bianchini, del Dipartimento di Oncologia medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano che ha seguito la sperimentazione. <Il valore aggiunto di questo test, rispetto alle metodiche abitualmente eseguite, sta nella capacità di identificare con maggior precisione quei tumori che hanno un basso rischio di recidiva, evitando alla donna le sofferenze di un’inutile chemioterapia: si calcola che, con il test, la si risparmierebbe a un terzo delle donne. L’indicazione al test è che il tumore sia ormono-dipendente, con linfonodi ascellari negativi: una condizione che crea il dubbio all’indicazione della chemio e interessa circa 18mila donne. Con questo test i dubbi verrebbero definitivamente risolti. La sperimentazione su 750 donne in nove anni, pubblicata sul New England Journal of Medicine, ha dato risultati promettenti: in nessuno dei casi in cui il test escludeva la chemio, si è ripresentata una recidiva di tumore>. In Italia questo test, che ha un costo ancora elevato (circa 3 mila euro), non è rimborsato dal SSN ed è a carico della paziente: alcuni reparti ospedalieri “dedicati” (Breast Unit) si stanno però organizzando per metterlo a disposizione delle pazienti. (P.T.)