Sono donne che hanno affrontato con coraggio e determinazione la diagnosi di “tumore“, una parola che, di per sé, genera sconforto appena la si sente pronunciare. E per di più “raro”, di quelli cioè che fino a poco tempo fa erano poco conosciuti e altrettanto poco studiati. Oggi per fortuna la ricerca medica si è accorta anche di loro. E ha messo a punto farmaci ad azione mirata, che rispondono come negli altri tumori. Molti dei finanziamenti utilizzati per queste nuove terapie provengono proprio dall’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, che conclude domenica 11 novembre la Settimana della ricerca (www.airc.it; numero verde: 800.350.350). E il 10 novembre sarà la Giornata dedicata ai tumori neuroendocrini, NET (Neuroendocrine Tumors), www.netitaly.net, come quello che ha colpito Steve Jobs. Tra i tanti malati, abbiamo raccolto la testimonianza di due donne, che hanno profuso il loro impegno di diversi anni non solo per combattere la malattia, ma per aiutare gli altri pazienti nelle loro stesse condizioni. Consapevoli delle tante sofferenze affrontate, a causa di una malattia poco conosciuta, si sono prodigate per costituire vere e proprie “Associazioni“, punti di riferimento importanti per sapere dove e come potersi curare, confrontarsi e soprattutto non scoraggiarsi. Certo, perché la tentazione è forte e lo scoraggiamento è pane quotidiano. Ma, come loro, tante altre donne ce l’hanno fatta: e sono “rinate”, dopo aver lottato contro un tumore, per di più “raro“.
FLAVIA BIDERI, presidente ACTO Onlus, Alleanza contro il tumore ovarico (www.actonlus.it).
<I sintomi erano comparsi un anno prima della diagnosi vera e propria: un persistente gonfiore addominale, con fitte molto dolorose. Dall’ecografia si era evidenziata una ciste di un centimetro, che non sembrava però allarmare il ginecologo. Ma intanto il gonfiore continuava, accompagnato da un senso di sazietà anche quando avevo mangiato poco. All’ecografia di controllo, dopo qualche mese, le cisti si erano moltiplicate. Ma nessuno, né il medico di base, né i ginecologi che avevo consultato, si erano preoccupati della mia condizione. Neppure un oncologo, che nel frattempo avevo interpellato, aveva mai ipotizzato che avrebbe potuto essere un tumore all’ovaio, malattia di cui allora neppure conoscevo l’esistenza. Dopo un anno però i sintomi erano così eclatanti e l’addome così gonfio che, a seguito di un ricovero, mi avevano finalmente diagnosticato un tumore all’ovaio, purtroppo a uno stadio avanzato. Immediato l’intervento chirurgico e poi, subito dopo, una massiccia chemioterapia e l’utilizzo di farmaci sperimentali che proprio in quegli anni si iniziavano a studiare. Ringrazio di cuore la professoressa Nicoletta Colombo, direttore dell’Unità di Ginecologia oncologica dello IEO che mi ha avuto in cura. E mi ha dato la forza non solo di affrontare la malattia e le pesanti cure, ma anche di occuparmi degli altri malati, di portare loro la mia esperienza ed evitare di far commettere gli stessi miei errori. Se avessi avuto una diagnosi tempestiva, non avrei dovuto affrontare la sofferenza di tante cure debilitanti. Per questo, a febbraio 2010, ho deciso di fondare l’Associazione ACTO Onlus (Alleanza contro il tumore Ovarico), per far conoscere questa malattia che, se diagnosticata in fase iniziale, può completamente guarire!>.
NUOVE TERAPIE PER L’OVAIO
In Italia sono 5000 i nuovi casi all’anno di tumore all’ovaio, che rappresenta il 30% di tutti i tumori ginecologici. La mortalità però si è ridotta negli ultimi anni: è al 5° posto tra i vari tumori. E questo anche grazie ai nuovi farmaci biologici, ad azione mirata, come bevacizumab, che blocca l’angiogenesi, ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono il tumore, impedendone così la diffusione. I finanziamenti dell’AIRC, hanno consentito di studiare una nuova sostanza, trabectedina, estratta da alcuni animaletti che vivono nelle radici delle mangrovie dei Caraibi. Queste ricerche,condotte dai ricercatori del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri di Milano, hanno portato alla produzione di un farmaco che sembra promettente nel tumore dell’ovaio con metastasi. I risultati della sperimentazione clinica, condotta dalla professoressa Nicoletta Colombo dell’IEO su una quarantina di donne con metastasi da tumore all’ovaio, hanno confermato la riduzione di più della metà della massa tumorale. <Di recente sono partite altre due sperimentazioni con questo farmaco, in associazione al chemioterapico doxorubicina e in aggiunta a bevacizumab>, puntualizza Maurizio D’Incalci, ricercatore del Mario Negri che ha studiato questa sostanza. <Sembra che trabectedina, potenziando il sistema immunitario e riducendo i fattori infiammatori, prolunghi e migliori addirittura la risposta degli altri farmaci. E soprattutto riduca gli effetti collaterali, come la perdita dei capelli, provocata solitamente dai chemioterapici>.
LIA CECCARELLI, vice-presidente NET Italy, Associazione pazienti con Tumori neuroendocrini (www.netitaly.net)
<Ogni tanto soffrivo di dolori addominali, qualche volta diarrea anche persistente, ma non ci facevo caso. Noi donne sopportiamo dolori anche peggiori di questi! E il medico di famiglia non dava peso ai sintomi. Finché, dopo la seconda gravidanza a 42 anni, la sintomatologia si è aggravata. Mi ero messa a dieta e, dagli esami del sangue, alcuni parametri erano decisamente fuori norma. Grazie all’intuizione di una diabetologa, amica di famiglia, ho fatto una Tac. La diagnosi è stata una pugnalata totalmente inaspettata: “tumore al pancreas di tipo neuroendocrino”, in pratica lo stesso che ha colpito Steve Jobs. Immediato l’intervento chirurgico che è stato molto demolitivo, eseguito dal professor Massimo Falconi, allora all’Ospedale di Verona, oggi direttore dell’Unità di Chirurgia del pancreas dell’Università delle Marche, al quale devo la vita! A seguire, l’utilizzo per diverso tempo di particolari terapie, con effetti debilitanti, per bloccare la replicazione delle cellule tumorali>. Lia Ceccarelli non si è mai data per vinta e, in questi anni di lotta contro il suo tumore, ha combattuto anche a nome di tutti gli altri malati e ha fondato a gennaio l’Associazione Pazienti NET Italy (www.netitaly.net), per dare informazioni ai malati su questa patologia e poterli indirizzare ai centri specializzati, senza dover peregrinare, come ha fatto lei, prima di avere la diagnosi.
I CENTRI DI ECCELLENZA PER LA CURA
50 sono i centri di eccellenza italiani per la diagnosi e la cura dei tumori neuroendocrini, ai quali è dedicata la Giornata mondiale del 10 novembre (www.netcancerday.org; www.netitaly.net). Per l’occasione, operatori sanitari, pazienti e volontari indosseranno una T-shirt raffigurante una zebra, che è la mascotte dell’Associazione. Come la zebra, animale “raro” tra i quadrupedi, anche i tumori neuroendocrini sono “rari”, con un’incidenza di 4-5 nuovi casi all’anno ogni 100.000 abitanti. <Colpiscono soprattutto l’apparato digerente e polmonare e spesso non danno sintomi, se non già in presenza di metastasi>, spiega il professor Gianfranco Delle Fave, direttore del Dipartimento di Malattie dell’Apparato digerente e del fegato presso l’ospedale Sant’Andrea di Roma e ordinario di Gastroenterologia all’Università La Sapienza di Roma. <Crescono però lentamente e hanno una prognosi più favorevole rispetto ad altri tipi di tumori. E questo grazie anche ai nuovi farmaci a bersaglio molecolare, come everolimus, efficace nei pazienti a uno stadio medio di malattia, che interviene direttamente sui meccanismi di crescita delle cellule tumorali ed è in grado di far raddoppiare la sopravvivenza dei pazienti. In Italia esistono molte pubblicazioni scientifiche di alto livello su questi tumori e diversi centri che adottano le cure più innovative. Per questo è stato possibile costituire il network It.a.net che si sta adoperando affinché i pazienti si rivolgano ai Centri di riferimento per avere il trattamento più idoneo alla loro patologia e poter usufruire i benefici delle nuove ricerche>.
a cura di Paola Trombetta