«Nel mio lavoro ho incontrato centinaia di donne. Tanti tipi di madri: affettuose, tenere, orgogliose. Ma anche ansiose, protettive. Severe, competitive. Assenti, irraggiungibili. Madri giudicanti, opprimenti, fredde, insicure. Madri che a loro volta hanno subito il potere delle proprie madri. Figlie ambiziose, riconoscenti, mature. Oppure competitive o in fuga, tormentate… a cui viene chiesto di soddisfare il copione che la madre ha studiato per lei. E poi donne che dal chirurgo plastico ci sono finite dopo un tumore e che con le figlie o le madri hanno stretto un alleanza contro il dolore». Pietro Lorenzetti, chirurgo plastico già autore de L’Intelligenza estetica e Il chirurgo dell’anima, nel suo terzo lavoro – Specchio delle mie brame. Madri e figlie e a confronto (Mondadori) – affronta uno dei rapporti più complessi e sfaccettati, quello tra madri e figlie, da una posizione privilegiata: la professione di chirurgo estetico.
Lei esegue interventi estetici da oltre vent’anni. Cos’è cambiato?
«Il ritocco non ha età. Anziane, adulte e giovanissime, il ricorso al bisturi è trasversale. Ad aumentare è soprattutto la fascia delle donne sopra i 50 anni. Ma la sorpresa è che si presentano in studio dal chirurgo plastico sempre più figlie accompagnate dalle madri. E le madri lasciano a casa il partner e si fanno accompagnare dalle figlie. Spesso c’è un condizionamento da parte dell’una sull’altra, in genere della madre sulla figlia. Il 10% delle volte si operano entrambe, in alcuni casi addirittura chiedono lo stesso intervento. Come se fossero un corpo unico, gli stessi obiettivi estetici. Ma non è sempre tutto oro. Parlando, assieme alla complicità, un sentimento intergenerazionale mai vissuto così intensamente prima d’ora, affiora spesso anche una rivalità, una rivalità mai confessata all’altra e a se stesse. E spesso il conflitto si esprime sul terreno dell’immagine e della bellezza, talvolta in maniera sottile, sfumata, altre volte in modo dirompente. Ognuna delle due vorrebbe essere la più bella, la più amata o desiderata».
Nel libro racconta i percorsi esistenziali e psicologici che portano mamme e figlie a chiedere un intervento. Che quadro ne emerge, professore?
«Essere madri è impegnativo. Ma lo è anche essere figlie. Non esiste rapporto più complesso, ma in un’epoca in cui l’identità si costruisce a partire dall’aspetto esteriore tutto può diventare ancora più complesso. C’è un fatto assolutamente rivoluzionario. Trent’anni fa i confini tra le generazioni erano più netti: le madri lasciavano idealmente il posto alle figlie. Erano poche quelle che potevano permettersi il lusso di essere affascinanti dopo una “certa età”. La seduttività era considerata inappropriata a una donna dopo i 40-45 anni. Oggi le 55-60enni vivono una seconda vita. Hanno più voglia di mettersi in gioco, cercano amore, relazioni, sesso e capita che flirtino con gli amici e i fidanzati delle figlie, ponendosi su un terreno di competizione totalmente nuovo».
Com’è questo rapporto con la madre?
«Il legame tra madre e figlia è particolare, unico. Un rapporto forte, incancellabile, si sviluppano dinamiche difficili, ambivalenze inconsce nel rapporto, dovute a molti fattori in un complicato groviglio di amore, gelosia, rivalità. L’ambivalenza dei sentimenti è una parte integrante d’ogni rapporto d’amore: quello materno e quello di una bambina verso la sua mamma, non fanno certo eccezione. Tutte le figlie ritornano alla figura materna, pietra di paragone e di inciampo, come a uno specchio nel quale rintracciare qualcosa di sé, qualcosa di segreto o non del tutto conosciuto. La madre può essere un esempio da ammirare e da imitare. O un modello da rifiutare. E viceversa: la figlia può essere il compimento delle aspirazioni personali, il riconoscimento e la conferma di sé. O un’amara disillusione».
Protagonista silenzioso, lo specchio…
«Il tema della bellezza è centrale nella vita di ogni donna. L’essere belle, il sentirsi belle è uno dei pilastri del benessere femminile. Lo specchio è sempre un prodigio dove realtà e illusione si sfiorano e si confondono. L’umore e le emozioni condizionano molto le donne quando si guardiamo allo specchio e stabiliscono, inconsciamente, se l’immagine che vedono riflessa le soddisfa oppure no. Ma c’è dell’altro. La questione ha che fare con tanti aspetti psicologici importanti. Perché il vero specchio non è quello appeso a un muro, ma l’eredità dello sguardo materno che nel tempo si è posato su di loro. Come ci ricorda la psicoanalisi, il primo sguardo, quello fondante l’identità primaria del soggetto è proprio lo sguardo materno nell’esercizio della sua funzione di “rispecchiamento” .Quello sguardo può essere di rimprovero, di ammirazione, d’indulgenza. A una figlia arrivano tutti i messaggi che una madre invia espliciti o impliciti. La memoria di questo sguardo resta come una traccia inconscia. Un commento della madre, uno solo, magari di dieci anni prima, è quello che porta da me giovani donne a correggere un difetto non sempre reale ».
Una particolare specie, racconta nel libro, è la madre che finanzia i trattamenti estetici di bellezza e di chirurgici della figlia.
«Spesso i ritocchi estetici sono proprio le mamme a consigliarli alle figlie. Eppure queste non hanno difetti eclatanti, sono normali o anche decisamente carine. Credo sia una cosa abbastanza normale; quale mamma non si augura il meglio per i propri figli? Non sempre invece si tratta dei generosità: sono madri ossessionate loro stesse dal proprio aspetto fisico e proiettano sulla figlia desideri e aspettative».
Un buon chirurgo plastico deve trasformarsi in psicologo?
«La chirurgia estetica è anche psicologia pura: è dialogo intimo, continuo medico-paziente per capire dove, quando e se è indispensabile intervenire. Capire dove nasce il desiderio di cambiare il proprio aspetto. Nella mia esperienza quotidiana noto che molto spesso la prima visita pre-operatoria si trasforma in una seduta psicologica: chi viene non mi parla solo della parte del corpo che vorrebbe cambiare, ma mi racconta il percorso mentale e umano che lo ha portato da me. Non mi consegna un problema estetico, ma spesso mi confida le fragilità, le insicurezze, le paure. Il mio lavoro è ricomporre un’immagine coerente con il loro sentire interiore».
Rughe da appianare, borse sotto gli occhi da cancellare, nasi da correggere, zigomi da alzare… Lei cosa consiglia alle sue pazienti, impone dei limiti alle loro richieste?
«A volte occorre anche saper dire di no. Magari proponendo interventi più soft e meno invasivi. Alcuni disagi fisici si originano da sofferenze psichiche, c’è talvolta però una scarsissima informazione sulle fonti psicologiche di tali disagi. Se il malessere è interiore, nulla può fare un seno nuovo, nemmeno il più perfetto. Se una donna ha un bellissimo seno nuovo, ma non sa “viverlo”, non lo “sente”, continuerà a essere insicura».
E dov’è il padre in tutta questa storia?
«E’ spesso un padre assente, non sempre significativo, che con un sostanzioso assegno magari ritiene di colmare e “risarcire” le proprie mancanze».
di Cristina Tirinzoni