“L’INVISIBILE PRESENZA” DELLE DONNE NELLA STORIA DEL DESIGN

Intrecciare. Procreare. Proteggere. Rappresentare. Riflettere. Verbi tutti all’infinito per raccontare l’anima del design italiano “sotto il segno di Penelope”, cioè dal punto di vista delle trame e degli intrecci della creatività femminile. Pensata e curata da una donna, Silvana Annicchiarico, direttrice del Design Museum della Triennale di Milano, con allestimento di Margherita Palli rinomata scenografa e costumista, la mostra W. Women in Italian Design” (nella storica sede di Viale Alemagna resterà visitabile fino al 19 febbraio 2017) è proposta nell’ambito della XXI edizione. E ha un taglio inedito e originale: documenta il ruolo fondamentale, e sinora sottovalutato, svolto dalle donne nelle arti decorative e applicate e nel design, dagli inizi del Novecento a oggi. Abbiamo approfondito il tema proprio con la curatrice Silvana Annicchiarico, architetto, dal 2007 direttrice del Design Museum della Triennale.

Come nasce l’idea di dedicare questa nona edizione alle “signore del design”?
«Il design italiano nel Novecento è stato indiscutibilmente un design patriarcale, con poche eccezioni. Come se le donne non ci fossero state. All’inizio, invece, c’erano eccome le donne. Filavano, tessevano, intrecciavano tessuti, modellavano la ceramica, lavoravano il legno, inventavano forme e soluzioni dell’abitare e del vestirsi, ideavano nuove tendenze, ma è difficile che si ritagliassero un ruolo da protagoniste, spesso hanno lavorato all’ombra di qualche uomo. Un esempio? Il lettino Day-bed 1930 non fu solo opera del genio di Miles van der Rohe, ma soprattutto della sua compagna, Lilly Reich. Questa mostra vuole allora colmare questa “rimozione” del femminile, raccontando “l’invisibile presenza” delle donne nella storia del design, dagli inizi del Novecento a oggi. Una presenza ancora conosciuta troppo poco, una presenza quantitativamente e qualitativamente rilevante che, fino a oggi, è stata invece nascosta, sottostimata, marginalizzata con finta noncuranza dalla critica e dalla storiografia contemporanea».

Quale emozione le ha lasciato questa “sua” mostra?
«Sicuramente la soddisfazione di aver documentato il lavoro di oltre 400 progettiste arredatrici, artigiane e architette, designer attraverso 650 opere. In questa edizione del Triennale Design Museum si può vedere quello che le storie del design finora non hanno mai raccontato. L’ordinamento cronologico parla di questa storia sommersa, usando la metafora di un fiume, timido all’inizio del secolo poi sempre più imponente, pieno e vitale nel 21esimo secolo, dove la creatività femminile ha ampliato il suo raggio d’intervento progettando mille oggetti che hanno fatto e fanno parte del nostro panorama quotidiano, in casa e fuori: insomma dai merletti a tavoli, piatti, lampade, posate, divani, brocche, vasi, abiti, poltrone, sedie, biancheria intima, canestre…».

Arriviamo ai giorni nostri. I tempi sono davvero cambiati?
«Oggi il design femminile conosce una fioritura notevole. Parlare di progettazione al femminile è più facile. E felice. Se fino a qualche decennio fa le donne del settore erano pochissime, ora sono numerose e determinate. Basta vedere quanti (molti) nuovi prodotti portano una firma femminile, quante di loro sono conosciute dal grande pubblico e poi fare un giro nelle università che formano i designer di domani, dove le ragazze sono la maggioranza».

Cos’ha scoperto sulla creatività femminile lungo il percorso? C’è un tratto peculiare che accomuna tutte le artiste?
«Emerge sicuramente un design meno asseverativo, meno autoritario, più spontaneo e dinamico. Caratterizzato da un tocco fatto di una particolare carica emozionale, di sensibilità, di partecipazione. Le donne hanno avuto il merito di portare la parte emozionale, di affettività, anche di fragilità all’interno di un discorso che viaggiava secondo regole basate su un’idea di razionalità costruita per obiettivi funzionali. È un design che non si limita a realizzare solo oggetti, ma produce esperienze, intrecci e relazioni, mettendo la cura degli altri al centro della propria ricerca. Siamo in una totale assenza di… testosterone. Da queste creazioni emergono leggerezza, poesia, capacità di sognare, sottile ironia, la spontaneità, la volontà di liberarsi da vincoli e pregiudizi, sia dal punto di vista estetico che funzionale. Le donne creano, progettano, sperimentano, rischiano, sfidano, in maniera morbida, pervasiva, capillare, frammentaria, delicata, quotidiana, con una sensibilità nei confronti dello spazio e degli oggetti, dovuta a secolari abitudini domestiche. Suggerendo l’uso di materiali inediti e tecniche ecosostenibili».

In un’epoca che sta superando le differenze di genere, c’è chi sostiene che è infondato porsi il tema della specifica creatività femminile. Lei cosa ne pensa?
«La rivalutazione della differenza di genere, questa volta in favore delle donne, è un’operazione critica molto delicata in quanto rischia di riproporre, ribaltati gerarchicamente, gli stereotipi sociali di gender prodotti dalla cultura occidentale. In una società che finalmente sta superando le differenze di genere, mi piace pensare al design come a un territorio mobile dove la progettualità emerge senza dover essere riconducibile a una divisione donne/uomini. L’idea che il genere non sia più solo un dato biologico e naturale, ma una questione culturale, apre interessanti prospettive anche per quello che potrà diventare il design dopo il design (tema oggetto della XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano che si svolge fino al 12 settembre, ndr). E non si può immaginare un “design dopo il design” senza prima aver fatto luce su un dato incontrovertibile: il contributo che le donne hanno portato nella storia del design italiano».

Per info e guida alla mostra, entrare nel sito: www.triennale.org

di Cristina Tirinzoni

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