In questi giorni si sente tanto parlare del ddl Cirinnà. Il testo di legge (che prende il nome dalla sua prima firmataria, la senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà), che introduce le unioni civili tra persone dello stesso sesso, è approdato in Senato mercoledì 10 febbraio per una prima consultazione. La votazione sulla legge slitta dal 17 al 24 febbraio: l’iter infatti si prospetta lungo e complicato (da risolvere ancora il problema degli emendamenti). Del resto la discussione tra sostenitori e oppositori, sul fronte dell’opinione pubblica e in quello politico, continua a essere incandescente. Il Presidente del Consiglio Renzi ha deciso di portare al voto il testo tutto intero, senza stralcio della norma sulle adozioni come invece aveva richiesto l’Ncd di Alfano. E mentre il ministro della Salute Lorenzin evocava i rischi della maternità surrogata, e la destra (Lega Nord, Fratelli d’Italia, parte di Forza Italia…) si dichiarava contraria, a sparigliare il gioco era arrivata nei la dichiarazione di Grillo che per il M5S parlava di libertà di coscienze, ma solo sulla Stepchild adoption (adozione del figlio del partner), si è corretto in un secondo tempo, e non su tutto l’impianto della legge…
Insomma il tema è delicato e in effetti smuove le coscienze. Per fare chiarezza, Donnainsalute ha voluto mettere a confronto le ragioni di chi è a favore e di chi è contro.
LE RAGIONI DEL SI’
Marilisa D’Amico, docente ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano e avvocato che da anni si occupa di difendere i diritti dell’uomo di fronte alla Corte Costituzionale ed europea, risponde in favore del ddl Cirinnà
Quali sono le ragioni a favore del ddl Cirinnà?
«È una legge molto importante che arriva finalmente a sanare un vuoto legislativo non più tollerabile e fa recuperare finalmente all’Italia un ritardo non più sostenibile. Si estendono cioè diritti fondamentali a migliaia di persone che purtroppo ancora non li hanno. A differenza di quanto avviene nella quasi totalità dei paesi della comunità europea (anche la Grecia si è adeguata poche settimane fa) nel nostro Paese non esiste alcuna forma di riconoscimento giuridico per le unioni tra persone dello stesso sesso. Si tratta di un intervento normativo necessario, ce lo impone non soltanto la sentenza della Corte di Strasburgo del 21 luglio 2015 che condanna il nostro Parlamento per inottemperanza all’obbligo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso, ma doveroso anche perché la società è cambiata. Del resto, la nostra Corte costituzionale già nel 2010 con la sentenza n. 138, aveva rivolto un monito molto forte al Parlamento nazionale affinché intervenisse tempestivamente nella regolamentazione delle unioni tra persone dello stesso sesso. Un monito analogo è stato ribadito, a distanza di 4 anni. Ma anch’esso è rimasto inascoltato».
Chi è contrario sostiene che questo disegno di legge sradica la famiglia tradizionale…
«Non toglie qualcosa a qualcuno, ma riconosce diritti e tutele a chi da sempre subisce discriminazione. Si tratta di dare certezza e dignità ad affetti, a legami di coppia che anche quando sono tra persone dello stesso sesso non perdono il loro valore, non solo interpersonale ma anche sociale, in quanto formazione fondata sul mutuo aiuto, la libera condivisione di un progetto di vita in comune, sulla base di sentimenti di amore. Tutti hanno il diritto di scegliere o meno se e con chi condividere la propria esistenza. Tutti hanno il diritto di fare famiglia, sia questa fondata o meno sull’istituto del matrimonio. Nessuno può essere escluso dal godimento di questo diritto. Ripeto: nessuna minaccia per la cosiddetta famiglia naturale, dunque, che rimane intatta, che non perde nulla. Chi semmai minaccia e indebolisce la famiglia (naturale e non) sono le politiche e chi in questi anni e nel passato non si è battuto per creare più lavoro dignitoso per donne e uomini, per conciliare i tempi di lavoro e delle responsabilità familiari, per gli asilo nido per tutti. Basta guardarsi intorno per capire che la famiglia si è “evoluta”: c’è la famiglia allargata, quella legale, la famiglia sociale, affettiva, Senza dimenticare le famiglie Arcobaleno e le mononucleari. La famiglia monogenitoriale. In Italia una famiglia su 3 è ormai costituita da una sola persona. La famiglia è soggetta a cambiamenti: composta da un uomo, una donna e i loro figli è solo una delle forme, molteplici, che ha assunto e che può assumere l’istituzione matrimoniale. La normalità, ormai, sono le coppie separate o divorziate, i genitori che si risposano e che mettono al mondo un nuovo figlio con il secondo partner, i bambini cresciuti di fatto dalle sole mamme, i minori che vedono il papà o la mamma un paio di week end al mese perché il lavoro li ha portati lontano. Quanti padri oggi si occupano dei propri figli anche a tempo pieno? E quante madri sono anche donne in carriera? Senza dimenticare le famiglie Arcobaleno e le mononucleari. Dove c’è amore c’è famiglia».
Cosa prevede in concreto?
«Il testo Cirinnà riconosce alla coppia diritti di assistenza sanitaria, carceraria, unione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione e i diritti successori, la possibilità di essere considerati parenti quando i loro compagni o compagne finiscono in ospedale. Dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Si potrà costituire un’unione civile fra persone dello stesso sesso con una dichiarazione dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile, in presenza di due testimoni e questa viene iscritta in un registro comunale».
Non è un matrimonio, dunque?
«Proprio per distinguere le unioni gay dal matrimonio, si fa riferimento all’articolo 2 della Costituzione, secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità che tutela la dignità della persona”, e non all’articolo 29 sul matrimonio. Per alcuni può sembrare un compromesso al ribasso rispetto alla richiesta di accesso al matrimonio, da un punto di vista pragmatico può costituire uno strumento di accelerazione per arrivarvi, sia come effetto di una maggiore visibilità della normalità di coppie così regolarizzate, con diritti assai simili a quelli derivanti dal matrimonio».
All’interno di questo disegno di legge, l’articolo più controverso è quello che riguarda la stepchild adoption (dall’inglese, adozione del figliastro), ovvero la possibilità per le coppie omosessuali di adottare il figlio biologico di uno dei due partner…
«Il fuoco della discussione è il tema dell’estensione della responsabilità genitoriale al partner dei bambini che pure sono accuditi, educati, accompagnati nel percorso di crescita. Nel mondo sono già 28 i Paesi che hanno deciso di consentire questo tipo di adozioni. Si tratta di estendere ai figli che vivono con genitori in coppie omosessuali un istituto per altro già previsto nell’ordinamento, dal 1983, per le coppie eterosessuali unite in matrimonio e dal 2007 per le coppie di fatto eterosessuali. E’ una misura indispensabile per tutelare i minori, che richiedono stabilità giuridica, di genitori che abbiano responsabilità nella cura, nell’educazione e nel mantenimento sino alla maggiore età e oltre, assicurando certezza e continuità affettiva e diritti parentali e patrimoniali. Il tutto non automaticamente, ma con una procedura di valutazione articolata e complessa del tribunale di minori, come avviene già per le adozioni. In molti casi sono bambini nati in un matrimonio eterosessuale concluso, con uno dei genitori che poi ha formato un’altra famiglia con una persona dello stesso sesso, mentre in altri casi i figli sono stati concepiti da coppie gay tramite fecondazione assistita, vietata in Italia, ma permessa all’estero. In Italia (secondo le stime dell’Istituto superiore della Sanità) sono già 100mila i bambini che vengono cresciuti da genitori omosessuali: hanno, di fatto, due genitori ma la legge ne riconosce uno soltanto (quello biologico). L’altro genitore non ha diritti e nemmeno doveri».
Il ddl Cirinnà aprirà la strada, come dice qualcuno, alla pratica “dell’utero in affitto”?
«E’ falso. Il ddl non incentiva né prevede alcun accesso legale all’utero in affitto che continua a essere una pratica espressamente vietata oggetto dalla legge n. 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita. Utilizzare questo argomento per stralciare la Stepchild Adoption è scorretto sul piano tecnico ed etico. Sono timori strumentali motivati da una precisa ragion d’essere: impedire che le coppie gay possano adottare figli, supponendo la loro inadeguatezza a svolgere il ruolo genitoriale. Non c’è invece alcuna prova che lesbiche e gay siano inadatti a fare i genitori o che lo sviluppo psicologico dei figli di omosessuali sia compromesso in qualche suo aspetto rispetto ai figli di genitori eterosessuali. La funzione genitoriale rimanda alle capacità di provvedere amorevolmente ai figli, garantire loro protezione, educazione, regolazione e risorse, a prescindere dal genere, dall’identità sessuale o dallo stesso legame di consanguineità. Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato e sereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive».
Il ddl Cirinnà va approvato così come è, senza toccare la stepchild adoption?
«Va respinta con forza l’ipotesi di una legge sulle unioni civili che oggi regoli soltanto le relazioni tra gli adulti, perché ciò significherebbe l’ennesimo rinvio che ancora una volta lascerebbe senza protezione proprio i soggetti più deboli, i bambini. Che esistono. Il Legislatore non può cancellarli, non può. Io spero che il Parlamento approvi questo testo, senza se e senza ma. Mi auguro davvero che l’Italia finalmente si metta al passo con l’Europa e con i paesi civilizzati nel mondo. Se invece non sarà approvato, il Parlamento dimostrerà ancora una volta di essere indietro rispetto a una realtà sociale che è già cambiata».
LE RAGIONI DEL NO
Cristina Cappellini (Lega Nord) assessore alle culture, identità e autonomie della Regione Lombardia, è contraria al testo di legge sulle unioni civili.
Perché per lei questa legge è inaccettabile?
«E’ un pessimo testo per come è strutturato e per tutte le conseguenze che potrebbe portare nel futuro. Di fatto, equipara le unioni civili tra persone dello stesso sesso al matrimonio. Con l’applicazione di larga parte del Codice civile e di tutte le norme di legge oggi previste per i coniugi, si svilisce il matrimonio, facendogli perdere il suo significato e la sua funzione. Ci presenta come traguardi straordinari per la civiltà proprio quelle leggi che mirano a scardinare il concetto di famiglia naturale, stravolgendone la natura di “società naturale” fondata sull’alterità e l’alleanza uomo-donna, con possibilità di procreazione. A chi ci accusa di essere retrogradi e di voler lasciare l’Italia nel medioevo rispondiamo con orgoglio che la nostra difesa del matrimonio solo eterosessuale è una battaglia civile per fare in modo che la società abbia questo legame fondativo, importante. In secondo luogo, il ddl Cirinnà è da respingere perché viola il diritto sacrosanto dei bambini ad avere una mamma e un papà. Ma c’è anche un altro “effetto collaterale” del riconoscimento delle unioni omosessuali, che tra quelli visti finora è forse il più grave: aprire alle adozioni del figlio del partner anche in caso di coppia omo significa spianare la strada alla pratica dell’utero in affitto che è vietata nel nostro Paese, ma che di fatto consentirebbe l’adozione per le coppie omosessuali italiane di figli ottenuti tramite maternità surrogata all’estero, nei Paesi in cui questa pratica è consentita, e di tornare in Italia e vedersi riconosciuto quel bambino come figlio, quando figlio non è. La maternità surrogata, mercificando e sfruttando la donna che funge da utero in affitto (a pagamento o no, resta inaccettabile), produce bambini per soddisfare le fantasie di due adulti qualsiasi che vogliono diventare genitori a tutti costi. Sulla maternità surrogatata non si transige. I bambini non si fabbricano in laboratorio per assecondare gli egoismi e i desideri degli adulti. Non si comprano e non si vendono come merci».
Ma le persone omosessuali che vivono una relazione stabile non hanno diritto ad vedere riconosciuti i loro diritti?
«Certo. Gli omosessuali sono cittadini a pieno titolo ed è importante che vengano loro riconosciuti diritti individuali fondamentali e tutele giuridiche. Queste ci sono già, la quasi totalità dei diritti richiesti per le coppie di fatto, anche omosessuali, è già ampiamente disponibile: dalla successione nel contratto di locazione (C.C. sent. n. 404/1988) all’obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (L. n. 91 1999), dai permessi retribuiti per decesso o grave infermità del convivente (L. n. 53 2000) all’astensione dalla testimonianza in sede penale sicuramente c’è bisogno di una legge organica che regolamenta le unioni omosessuali ma non trasformiamole in matrimonio!».
Si dice: le unioni civili non sono matrimoni ma “formazioni sociali specifiche”…
«A parole, è vero. Nei fatti, è totalmente falso. Basta con questa ipocrisia: il testo chiama questa unione “formazione sociale specifica”, ma la sostanza è quella del matrimonio, tutti i riferimenti al codice civile sono tratti dagli articoli riguardanti il matrimonio, c’è persino il cognome unico e la reversibilità della pensione, permessi lavorativi e trasferimenti per ragioni familiari, congedi matrimoniali, decisioni in materia funeraria e sanitaria. L’articolo 6 fa riferimento allo scioglimento dell’unione civile, estendendo anche a queste le disposizioni presenti per lo scioglimento del matrimonio. Occorre essere fermi e chiari su due nodi cruciali: non è una contrarietà a uno stile di vita di qualcuno, agli orientamenti sessuali di qualcuno. Massimo rispetto per tutti gli individui e per tutte le persone. Ma c’è e sempre ci sarà un’atavica differenza tra la famiglia naturale composta da un papà e una mamma sposati o no, e una coppia dello stesso sesso».
Due persone omosessuali non possono adottare un figlio?
«Mi viene la voglia di rispondere in modo radicale, ma mi trattengo. Quanto egoismo e quante bugie ci sono nel dibattito politico di questi mesi. Un conto è parlare del riconoscimento di alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è sostenere il diritto ad avere figli, come se esistesse, poi, questo diritto: nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non sulle persone. La questione, non è se “gli omosessuali maschili o femminili sono ‘capaci’ di allevare un bambino”. Cure e amore non sono patrimonio esclusivo delle coppie etero. E’ vero. Il problema resta un altro: il bambino come persona, come un “soggetto”, ha il diritto e il bisogno di avere una mamma e un papà. Le differenze fra maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell’umano. Che non può essere negato. L’educazione si esercita in via ordinaria attraverso la presenza di una duplice figura: quella maschile e quella femminile».
Diversi studi dimostrano che non ci sono differenze tra figli cresciuti da coppie omosessuali e coppie etero…
«Esistono anche studi che dimostrano il contrario! Anche il presidente della la Società Italiana di Pediatria ha espresso serie perplessità e preoccupazione sulla stepchild e parla di possibili rischi per il benessere dei bambini, “i processi di maturazione psicoaffettiva e quelli relazionali, nell’età evolutiva, possono rivelarsi deboli”».
Cosa auspica?
«Forse un supplemento di riflessione non farebbe male. Servirebbe quanto meno a capire meglio quella che è la vera posta in gioco. Che non ha nulla a che vedere con l’omosessualità, né tanto meno con i diritti degli omosessuali. La vera posta in gioco è il valore della differenza sessuale dei genitori, la quale è ampiamente dimostrato dalla medicina e dalla sociologia essere la migliore per la crescita della prole. Nel dibattito attuale si tende a negare che esista una differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due uomini. Tanto l’importante sarebbe amarsi. Ma l’uomo non è come la madre, e le interazioni con la madre sono radicalmente diversi da quelli con il padre! La complementarietà tra i due sessi è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la differenza, non mortificarla. Se andiamo per la strada dell’abolizione della differenza sessuale non ci sarà un futuro per l’umanità. Le parole padre e madre saranno soppresse dal codice civile? Queste due parole che condensano tutte le differenze, poiché portatrici sia della differenza dei sessi che di quella delle generazioni, scompariranno da ciò che codifica la nostra identità».
di Cristina Tirinzoni