SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO: UNA QUESTIONE DI GENERE

Diverso approccio al mestiere, diverse esigenze, diversa esposizione ai rischi. L’altra metà del cielo si distingue dai colleghi uomini anche nel lavoro. Soprattutto sul piano dello stress correlato, che nella donna lavoratrice, forzatamente multitasking (mamma, compagna, figlia, professionista), investe ogni sfera della vita sociale e personale, con ripercussioni invalidanti sia per la salute fisica che psichica. Nasce così la necessità di attuare misure di protezione negli ambienti di lavoro in “armonia” con la vita extra-lavorativa e familiare. Una tutela garantita dal Testo Unico per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 28 del decreto legislativo n. 81/2008), che obbliga il datore di lavoro a una valutazione dei rischi che comprenda anche quelli “connessi alle differenze di genere”. Sul tema, sabato 28 febbraio a Desenzano del Garda, si svolgerà un seminario dal titolo “Donne: lavoro, stress, salute”, coordinato da Grazia Alessandro, medico del lavoro e direttore sanitario del Poliambulatorio di medicina del lavoro e dello sport Galeno Veneta, con sede nel Veronese. 

 

Dottoressa, quali nuove sfide per il medico del lavoro, alla luce del riconoscimento della differenza di genere in materia di salute e sicurezza sul lavoro? 

«Il medico competente dovrà avere un approccio sempre più multidisciplinare per riconoscere, inquadrare e curare il malessere della donna che lavora nella sua globalità. Di qui l’idea di un aggiornamento clinico su menopausa, cancro al seno, dolore cronico… unito a un aggiornamento multiprofessionale condotto da diversi specialisti, che intende fornire strumenti di prevenzione quali la gestione del dolore e la cura di sé come dovere (anche sul piano estetico), con inediti rimandi ai rischi di dipendenza da alcol o farmaci».

Di quali tutele godono le donne lavoratrici con tumore?

«A livello clinico, il medico competente nominato dal datore di lavoro, è tenuto a effettuare sia visite preventive, periodiche, nonché su richiesta del lavoratore per verificare se è idoneo a esporsi ai rischi specifici connessi allo svolgimento delle sue mansioni, sia visite al momento del rientro al lavoro dopo 60 giorni continuativi, per valutare la compatibilità con la mansione in seguito a un significativo periodo di assenza dovuto a malattia o infortunio. Molte donne, tuttavia, dopo una diagnosi e terapia di un tumore al seno decidono di rientrare prima del termine, identificando la propria integrità psicofisica con il ritorno alla normalità, perciò la visita resta subordinata a una loro richiesta. Sul piano giuridico, la donna con patologie tumorali ha lo strumento della domanda di riconoscimento dell’invalidità e dell’handicap che dà, ad esempio, diritto a due ore di permesso giornaliero retribuito, ovvero, in caso di invalidità superiore al 50%, a un congedo retribuito fino a 30 giorni, ogni anno, per le cure connesse all’infermità. Tuttavia, anche  in assenza di questo iter, il medico del lavoro valuterà gli effetti debilitanti dell’eventuale trattamento chemioterapico limitando i ritmi e i carichi di lavoro fisico in caso, ad esempio, di svuotamento del cavo ascellare, o prevedendo interventi mirati a conservare la qualità e quantità del sonno quale strumento di benessere. Le lavoratrici del privato in cui persiste ridotta capacità lavorativa hanno inoltre diritto alla conversione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time».

E le lavoratrici madri?

«La salute e sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere e in allattamento fino a sette mesi dopo il parto trovano tutela sempre nell’alveo della valutazione dei rischi di cui all’articolo 28 sopracitato e in altre specifiche disposizioni di legge. Il datore di lavoro deve individuare i rischi a cui queste lavoratrici sono esposte per consentire al medico competente di stabilirne l’eventuale allontanamento dal reparto lavorativo, ovvero la sospensione dei compiti associati al fattore di rischio rilevato, anche senza allontanamento dal reparto. In particolare, la legge vieta lavori faticosi e pericolosi per la salute della gestante e del nascituro, quali l’esposizione a determinati agenti, lavori di manovalanza pesante, lavori su scale e impalcature, o che implichino una stazione in piedi per più della metà dell’orario lavorativo e diversi altri».

di Francesca Saglimbeni 

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