IN MOSTRA A MILANO IL CERVELLO CON LE NEUROIMAGING

Cervello più piccolo, ma con la parte anteriore destra, dove si sviluppano i processi emozionali e del pensiero, che è più sviluppata nelle donne. Nell’uomo al contrario predomina la parte posteriore, che presiede le rappresentazioni spazio-temporali. Oggi questi dati hanno una validazione scientifica grazie alle tecniche di neuroimaging. Se fino a 30 anni fa il cervello era una scatola nera misteriosa e impenetrabile, con l’avvento delle neuroscienze e delle tecnologie di neuroimaging si è iniziato a guardare all’interno di questa scatola nera e a studiare il cervello con metodi empirici come ogni altro fenomeno naturale. Oggi è possibile viaggiare “al cuore del cervello” per osservare in vivo i processi neuronali che stanno dietro a pensieri ed emozioni, ma anche per approfondire la conoscenza delle malattie neurodegenerative e trovare la strada per combatterle in modo sempre più efficace. L’occasione è fornita dalla mostra “BRAIN. Il cervello, istruzioni per l’uso” inaugurata i giorni scorsi a Milano, al Museo di Storia Naturale fino al 14 aprile 2014 organizzata dall’American Museum of Natural History di New York, in collaborazione con Comune di Milano-Cultura, Museo di Storia Naturale di Milano, Codice. Idee per la cultura, 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, Guangdong Science Center, Guangzhou e Parque de las Ciencias, Granada: una grande esposizione di carattere internazionale che, attraverso installazioni e risorse interattive, aiuterà a rivelare, anche a un pubblico non specialistico, i meccanismi che regolano le nostre percezioni, emozioni, opinioni e sentimenti e i segnali di importanti malattie neurodegenerative, come la Sclerosi multipla.

«Per l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla è un’opportunità importante essere partner di questo evento – dichiara Antonella Moretti, Direttore Generale AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) che da anni promuove e finanzia anche la ricerca scientifica per utilizzare le neuroimmagini di Risonanza Magnetica, per diagnosticare una malattia imprevedibile ed evolutiva come la sclerosi multipla e individuare i meccanismi che causano la degenerazione del sistema nervoso. Attraverso “BRAIN” AISM potrà così sensibilizzare ampie fasce di cittadini sulla malattia, e stimolare, in particolare i giovani, a comprendere il valore della ricerca scientifica come strumento di libertà tanto per chi vi si impegna come per le persone con malattie neurologiche».

Alla vigilia dell’inaugurazione della mostra, neurologi e filosofi si sono confrontati per esplorare tutte le implicazioni scientifiche, mediche ed etiche della grande rivoluzione delle neuroscienze, sostenuta dal continuo sviluppo di tecnologie di imaging quali la Risonanza Magnetica e la PET. L’incontro è stato sponsorizzato da Novartis, che ha contribuito alla realizzazione dell’edizione italiana della mostra. Grazie alle moderne tecniche di neuroimaging è possibile misurare l’impatto di nuove terapie sulla perdita di volume cerebrale o atrofia, aspetto normale del nostro invecchiamento, che nelle persone con sclerosi multipla avviene in modo da 3 a 5 volte più rapido. La perdita di volume cerebrale, che si riscontra già nelle fasi iniziali nella sclerosi multipla e continua durante il decorso della malattia, è associata a perdita di funzioni cognitive e disabilità.

«Misurando l’atrofia cerebrale in una persona colpita da sclerosi multipla possiamo sapere se una determinata terapia è più o meno efficace, ovvero se è in grado di rallentare il processo degenerativo», afferma Giancarlo Comi, professore di Neurologia e direttore del Dipartimento Neurologico e Istituto di Neurologia Sperimentale, Istituto Scientifico San Raffaele, Università Vita-Salute di Milano e Presidente della Società Italiana di Neurologia. «Si tratta di una misura oggettiva e riproducibile che ci sta dando informazioni importanti per capire la portata delle terapie innovative contro la sclerosi multipla».

Oltre allo studio delle patologie, la grande rivoluzione delle neuroscienze ha ricadute enormi sulla conoscenza degli elementi profondi che caratterizzano il cervello e ci permette di capire le stesse basi fisiologiche e psicologiche del comportamento umano.

«Le tecniche di neuroimaging, mostrandoci in concreto le basi cerebrali dei nostri comportamenti, ci permettono di superare antichi pregiudizi filosofici, come la contrapposizione tra ragione ed emozione: i processi del ragionamento presuppongono in realtà la collaborazione tra aree razionali e aree emotive», afferma Michele Di Francesco, professore ordinario di Logica e Filosofia della Scienza e rettore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori IUSS di Pavia. «Inoltre oggi possiamo capire il modo in cui il cervello contribuisce alle attività degli esseri umani in quanto animali sociali: i neuroni specchio, le strutture cerebrali che permettono la comprensione delle intenzioni altrui, potrebbero essere la base biologica dell’empatia tra le persone».

Ma quali sono le principali tecnologie a cui si devono le nuove conoscenze dei processi cerebrali?

«La Risonanza Magnetica, in continuo sviluppo, fornisce immagini di estrema accuratezza morfologica e, grazie all’introduzione di nuove tecniche quantitative e funzionali, è in grado di rilevare le alterazioni sia di struttura che di funzione associate alle principali malattie del Sistema Nervoso Centrale», afferma Massimo Filippi, Professore di Neurologia, Unità di Neuroimaging, Divisione di Neuroscienze IRCCS e Università Vita-Salute San Raffaele, Milano e Editor-in-Chief del Journal of Neurology.

Un’altra tecnologia, come la tomografia ad emissione di positroni (PET), basata sull’osservazione del consumo di glucosio in sistemi cerebrali specifici, permette di misurare in maniera quantitativa le alterazioni dei sistemi di neurotrasmissione associate a patologie neurologiche e può aprire addirittura la strada a diagnosticare, con decenni di anticipo, le malattie neurodegenerative.

«La positività dei biomarcatori, soprattutto delle alterazioni del metabolismo del cervello, ci indica con alta probabilità già in fase precoce che il soggetto potrà sviluppare una demenza», afferma Daniela Perani, neurologo, neuroradiologo e professore di Neuroscienze all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Ci vorranno però ancora molti anni di ricerca prima di poter intervenire terapeuticamente nella fase pre-clinica: al momento, la migliore terapia di cui disponiamo per contrastare l’insorgenza delle demenze è quella di esercitare il cervello quanto più possibile, attraverso ogni tipo di attività intellettuale, e anche con l’attività fisica che è molto utile nel migliorare la biochimica del cervello stesso».

 

di Paola Trombetta

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