Non sempre occorre la chirurgia. Almeno in caso di noduli e tumori tiroidei per i quali l’approccio interventistico, aggressivo, deve essere sempre più “sartorializzato”. Ovvero solo se indicato dalla biologia molecolare della malattia, che oggi svela importanti indicazioni sulla natura del tumore o di una diversa condizione clinica, e viene condotto in maniera mini-invasiva, sempre più conservativa. È questa l’indicazione terapeutica diffusa a un anno dalla sua nascita dall’Italian Thyroid Cancer Observatory Foundation (ITCO), il primo osservatorio italiano dedicato esclusivamente alle differenti condizioni cliniche della tiroide. Una strategia terapeutica che rivoluziona l’atteggiamento fino ad oggi adottato nei confronti dei noduli tiroidei in costante aumento tra la popolazione, anche a causa di sovradiagnosi: «L’incremento delle problematiche correlate alla tiroide, e dunque di nuovi casi riscontrati ogni anno, è dovuto a una maggiore diffusione dell’ecografia – spiega Sebastiano Filetti, internista e Preside della Facoltà di Medicina dell’Università Sapienza Roma – che è ad oggi l’esame diagnostico più accurato per lo studio della tiroide. La maggiore incidenza ha riguardato in maniera preponderante le fasce di età giovani e adulte, sebbene tra il 30 e il 50% della popolazione adulta sia già portatrice di un nodulo tiroideo anche a sua insaputa, rimanendo invariata negli anziani tra i quali invece ci si sarebbe aspettato il maggiore incremento». La sovradiagnosi ha portato con sé anche un eccesso di sovratrattamento, ovvero un maggiore ricorso alla chirurgia: «In Italia – dichiara Rocco Bellantone, Presidente ITCO e Direttore dell’Unità Operativa complessa di Chirurgia Endocrina e Metabolica del Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma – ogni anno vengono effettuati oltre 40mila interventi, nell’80% dei casi a carico delle donne, di cui un quarto con meno di 40 anni».
Tuttavia a fronte di numeri così elevati, va detto che la maggioranza dei noduli sono di piccole dimensioni, non danno disturbi e si confermano benigni dopo uno studio ecografico o un esame citologico su ago aspirato. Soprattutto, la gran parte – circa l’85% – non cresce di dimensioni nel corso del tempo e nel 99% dei casi non evolve verso la malignità. Per merito di nuove conoscenze e di preziose informazioni fornite dalla biologia molecolare, stanno migliorando anche i protocolli di sorveglianza in pazienti affetti da noduli tiroidei, a vantaggio anche di un utilizzo più attento delle risorse economiche del sistema sanitario. Due fattori che hanno permesso così di perfezionare anche la scelta chirurgica e il candidato ideale. «Ad oggi – continua Bellantone – la tiroidectomia totale, ossia l’asportazione della tiroide, viene consigliata solo in caso di tumori differenziati della tiroide, mentre in presenza di microcarcinomi papilliferi, tumori con dimensioni inferiori ai 10 mm, e nei casi di prognosi favorevole, può essere possibile un intervento meno esteso con la rimozione solo della parte interessata da malattia, riducendo il fabbisogno di terapia sostitutiva associato a una minore insorgenza di complicanze metaboliche, quali l’ipo-paratiroidismo e anatomiche, possibili paralisi del nervo ricorrente in particolare. Si attuano, dunque, interventi sempre più su misura del paziente e del caso clinico, operando con la precisione e l’accuratezza di un sarto che confeziona l’abito sulle perfette proporzioni del corpo». Agire in maniera conservativa sulla tiroide significa anche risparmio nella somministrazione farmacologica (terapia sostitutiva) di ormoni tiroidei, che restano necessari e fondamentali per assicurare il buon funzionamento dell’organismo. Essi infatti regolano lo sviluppo cerebrale nel feto e nel lattante, così come il normale accrescimento corporeo e dello scheletro o, ancora, contribuiscono a controllare l’attività metabolica influenzando organi e tessuti, quali ad esempio il fegato, ma anche il sistema cardiovascolare fino a intervenire nella sintesi proteica. «Nei casi di rimozione totale o parziale della tiroide – precisa Domenico Salvatore, endocrinologo e Professore Associato di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli – la terapia sostitutiva con levotiroxina, l’ormone sintetico della tiroide (T4), è la cura standard. Infatti, quando è presente e funzionante, la tiroide produce naturalmente due diverse forme di ormone: la T4 che viene convertita nella tiroide e nei tessuti periferici nella forma attiva T3. Tuttavia, un buon numero di pazienti privi di tiroide, così come il 10% di pazienti ipotiroidei, trattati con levotiroxina, lamenta alcuni effetti collaterali in particolare perdita di memoria, aumento di peso, stanchezza, depressione e riduzione della qualità di vita tipici dell’ipotiroidismo, nonostante valori normali di ormone tireostimolante (TSH) nel sangue». Ma non solo: vi è evidenza scientifica che nel 20% di pazienti in trattamento con levotiroxina a seguito di una tiroidectomia totale, non si raggiungerebbero comunque livelli ottimali di ormoni tiroidei. Così in parallelo alla chirurgia e in funzione di questa risultanza, è migliorata anche la terapia: «La comunità scientifica – aggiunge Salvatore – è impegnata a valutare gli esisti e gli effetti di una terapia combinata di T3 e T4 che in alcuni pazienti sembra alleviare i sintomi di ipotiroidismo, a favore di un miglior senso di benessere».
Negli ultimi anni si è assistito anche a sostanziali avanzamenti nella terapia dell’ipotiroidismo, grazie a nuove soluzioni farmacologiche – prima tra tutti la formulazione liquida dell’ormone – che sta garantendo un assorbimento più rapido e stabile della T4 e una migliore aderenza alla cura da parte del paziente. «Un recente studio condotto dal mio team – fa sapere Bellantone – pubblicato sulla rivista Endocrine, evidenzia la maggiore efficacia della levotiroxina liquida rispetto alle compresse sia riguardo i valori di TSH, ma anche di T3 e T4 nel sangue, sia riguardo il miglior stato di benessere psicofisico del paziente». Soluzione liquida, dicono gli esperti, che è da preferire anche nei casi di ipotiroidismo a seguito di tiroidectomia totale. Poiché tra gli obiettivi di ITCO, oltre alla ricerca di potenziali nuove soluzioni clinico-terapeutiche per i noduli e le patologie tiroidee, vi è anche la tutela del benessere del paziente, già si profila all’orizzonte un nuovo studio, multicentrico: «Punta non solo a valutare se e come cambia la qualità della vita dei pazienti sottoposti ad asportazione totale della ghiandola tiroidea e in terapia sostitutiva ormonale – conclude Filetti – ma anche a comprendere quale intervento terapeutico sia in grado di ripristinare lo stato pre-operatorio». Insomma, una medicina sempre più orientata sulla persona, oltre che sul paziente e il “suo” caso clinico.
di Francesca Morelli