Si celebra il 9 settembre la Giornata mondiale della Sindrome feto-alcolica (FAS) per sensibilizzare alle disabilità e ai problemi dovuti all’uso di bevande alcoliche durante la gravidanza. Abitudine che può indurre nel nascituro una condizione malformativa complessa, la FAS appunto, diagnosticabile già in epoca neonatale, caratterizzata da specifiche anomalie facciali, di gravità variabile, come rime palpebrali brevi, labbro superiore sottile, filtro naso-labiale piatto e allungato, microcefalia, deficit di crescita staturo-ponderale e ritardo neuro-psicomotorio. Fino a problematiche cognitivo-comportamentali quali deficit di funzionalità esecutiva e motoria, fine e grossolana, di elaborazione delle informazioni, discrepanze tra abilità verbali e non verbali, disturbi di apprendimento, dell’attenzione ed iperattività. Problematiche che, se non opportunamente individuate e trattate in età precoce, possono comportare una serie di disabilità secondarie che tendono a manifestarsi soprattutto in adolescenza, quali scarso rendimento scolastico o lavorativo, mancanza di vita autonoma e difficoltà socio-relazionali. Problema su cui impatta in maniera importante la disinformazione: poche donne sono a conoscenza che il consumo di alcol in gravidanza – dal vino, alla birra, a liquori, amari o superalcolici – sia sempre nocivo a prescindere dalla quantità assunta e dalle volte in cui viene consumato. L’Italia, dove culturalmente l’alcol è accettato e anzi associato tendenzialmente a immagini positive, è tra le nazioni al mondo con prevalenza maggiore di FAS.
«A livello mondiale – dichiara Fabio Mosca, Presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) – la stima della prevalenza FAS, la più grave ed evidente forma tra le alterazioni imputabili all’alcol, oscilla tra lo 0,5 e i 3 casi su 1000 nati vivi nella maggior parte delle popolazioni, mentre l’intero spettro dei disturbi correlati (FASD), riguarda circa l’1% della popolazione globale, costituendo la prima causa di ritardo mentale nei bambini dei paesi ad alto tenore economico».
Questo perché nel mondo, il 60% delle donne beve alcol durante la gravidanza, dando alla luce ogni anno circa 120 mila bambini (in Italia quasi 2500) che probabilmente svilupperanno FASD: potrebbero invece essere prevenuti al 100% con l’astensione dall’alcool fin da quando si comincia a pensare di voler concepire un figlio, ma anche fornendo alle donne in gravidanza e in età fertile tutte le informazioni utili per capire quali possano essere le conseguenze del consumo di alcol. Recentemente molti studi hanno dimostrato come l’alcol agisca anche sul DNA degli spermatozoi e dunque sarebbe consigliabile che anche gli uomini riflettessero sulle possibili conseguenze dell’assunzione di alcolici durante il periodo fertile. Eppure, nonostante gli sforzi profusi in tema di educazione e informazione sulla FAS, neonatologi e pediatri sono preoccupati sul possibile aumento futuro della prevalenza globale di questa malattia, a causa della diffusa accondiscendenza culturale al consumo di alcol, riscontrabile anche tra alcuni professionisti sanitari a contatto con le donne in età fertile, l’aumento dei tassi di consumo di alcol e di binge drinking, in crescita tra i giovani e di gravidanze non pianificate che possono esporre il feto a sostanze alcoliche.
La prevenzione ha un doppio valore: un sensibile guadagno per la salute del nascituro e un risparmio dei costi assistenziali. Per i bambini esposti all’alcol durante la gravidanza, fondamentale è la diagnosi precoce e la presa in carico che prevede cure mediche e psicologiche, logopedia, terapia fisica, educazione speciale ed altri servizi essenziali. Senza considerare il depauperamento della qualità della vita dei piccoli.
Francesca Morelli