L’utilizzo di farmaci biosimilari è in crescita del 13%: per il quinquennio 2017-2022 si prevede anche una riduzione della spesa vicina al mezzo miliardo, con positive ricadute sulla sostenibilità sanitaria. Intorno a questi dati e al “ruolo terapeutico” che i biosimilari possono giocare a favore dello stato di salute della sanità italiana, si sono confrontati esponenti della comunità scientifica, economisti, gestori della sanità regionale, associazioni di pazienti e rappresentanti delle istituzioni, nel corso di un Convegno, promosso dalla rivista di economia e politica sanitaria Italian Health Policy Brief, tenutosi i giorni scorsi a Roma al Ministero della Salute.
<Sicuramente i biosimilari rappresentano un’opportunità di cura per molte patologie, garantendo anche risparmi per il servizio sanitario>, ha sottolineato Maria Teresa Bressi del Coordinamento Nazionale Associazioni Malati Cronici. <Sono risparmi che, a nostro parere, andrebbero reinvestiti nell’accesso per tutti i cittadini, anche per le terapie più innovative; un aspetto, questo, che da anni sta mostrando sempre più crepe>. Esistono infatti difformità a livello regionale sull’impiego di questi farmaci: lo scorso anno, ad esempio, si è registrato un utilizzo di questi farmaci del 50,21 per cento in Piemonte e Valle d’Aosta, del 23,13 in Toscana, del 21,58 in Emilia Romagna, mentre nel Lazio ci si è fermati al 10,27 per cento, in Puglia al 6,9 e in Umbria poco oltre il 5 per cento. <La diffusione dei biosimilari è ancora differenziata nelle diverse realtà regionali per ragioni primariamente culturali>, ha dichiarato Simona Creazzola, presidente della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera. <Sarebbe utile e necessario produrre con maggior efficacia un’informazione qualificata e ben veicolata per l’affermazione di un senso di responsabilità comune (operatori sanitari, cittadini, aziende) nei confronti dell’utilizzo ottimizzato e trasparente di risorse in ambito sanitario>.
A fronte di uno scenario potenzialmente positivo, in Italia si profila però un ostacolo che riguarda le modalità di approvvigionamento dei biosimilari da parte delle Regioni. Nelle gare di acquisto, infatti, oggi domina l’aspetto economico che determina l’acquisizione del biosimilare dal costo più basso, compromettendo la disponibilità di più molecole. Da qui possibili ricadute negative anche sulla continuità e sull’appropriatezza terapeutica, soprattutto nell’ambito delle malattie oncologiche e su base autoimmune, come in dermatologia, reumatologia e gastroenterologia.
Si pone allora con urgenza la necessità di rendere più omogenei gli strumenti di approvvigionamento delle Regioni. <Una pluralità di scelta consente non solo il contenimento della spesa, ma anche il mantenimento della libertà prescrittiva del medico e la preferenza del paziente>, puntualizza Fabio Pammolli, Ordinario di Economia e Management presso il Politecnico di Milano e Presidente del CERM. <Nel nostro caso le durate delle gare più lunghe e ben definite garantiscono una garanzia di continuità al paziente e una miglior pianificazione>.
Il messaggio che emerge da Roma è dunque chiaro: l’importanza della diffusione dei biosimilari è condivisa da tutti gli attori, sia in termini di contributo alla sostenibilità di sistema, che in termini di equità di accesso alle cure sul territorio regionale, ma occorre che l’omogeneità della loro diffusione vada di pari passo con una corretta cultura della cura, in cui il “valore economico” non sia l’unico punto di riferimento per le scelte sul territorio.
Paola Trombetta