Suicidi diminuiti dal 1995 ad oggi del 14%. Ma la buona notizia è solo parziale. Perché in effetti il suicidio lo si tenta, fortunatamente in alcuni casi senza arrivare all’esito drammatico, in percentuali 20 volte superiori rispetto ai suicidi effettivi. A pensare a questo atto estremo sono soprattutto le donne, le persone con problemi di identità di genere, gli adolescenti, i ragazzi nella prima età adulta o in età matura tra 65 e 85 anni. Sono le stime ISTAT più recenti, diffuse in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (10 ottobre), che collocano l’Italia tra i Paesi europei con il tasso di suicidi più bassi, richiamando tuttavia l’attenzione sulle cause multifattoriali che possono indurre a togliersi la vita. Fattori sociali, come solitudine e isolamento sociale; problemi economici, la povertà; aspetti culturali, ambientali, professionali, quali il pensionamento o il demansionamento, e familiari come la perdita del partner che possono fungere da elemento protettivo o più di frequente di vulnerabilità; malattie debilitanti, dolore cronico e disturbi mentali come depressione e ansia, malessere profondo. Contesti che possono far percepire la morte come l’unica alternativa percorribile. «I progressi nel campo della salute mentale avanzano – spiega il dottor Stefano Porcelli, psichiatra e coordinatore nazionale dell’area Santagostino Psiche – eppure è ancora difficile capire il momento e le ragioni che possono spingere al suicidio. Comprendere questa complessità e le sue dinamiche è il primo passo per azioni efficaci e mirate». Si è evidenziato che molte persone che si tolgono (o decidono di togliersi) la vita cercano un supporto psicologico nei 30 giorni precedenti da parte del medico di base, in pronto soccorso o da altri professionisti sanitari. Non specificatamente a professionisti della salute mentale e a richiederlo sono soprattutto giovani: il disturbo e la richiesta di un supporto hanno perso pertanto la tipica stigmatizzazione del passato, soprattutto fra gli under 35, facendo sentire chi è a rischio libero di rivolgersi a un professionista della salute. «Ciò suggerisce la possibilità di intercettare e rispondere a queste richieste di assistenza in una finestra di intervento cruciale per prevenire il suicidio. È fondamentale, quindi – dichiara lo psichiatra – formare tutto il personale sanitario per riconoscere i segnali di allarme e intervenire tempestivamente con azioni a vario livello e in diversi ambiti. Ad esempio mettendo a punto azioni di sensibilizzazione a partire dalle scuole, con il coinvolgimento anche di famiglie e luoghi di aggregazione, favorendo l’istituzione di canali di aiuto accessibili. Inoltre, è indispensabile continuare a combattere lo stigma, quindi il giudizio o la discriminazione, legati alle patologie mentali e a chi chiede aiuto. Solo continuando a migliorare la consapevolezza e l’accesso alle cure sarà possibile ridurre ulteriormente i suicidi e offrire una speranza concreta a chi vive momenti di profonda sofferenza. Ogni vita conta e ogni segnale di disagio merita attenzione e rispetto».
Francesca Morelli