Siamo “colonizzati” da cellule batteriche: centomila miliardi di specie microbiche, molto differenti tra loro, convivono in equilibrio con dieci mila miliardi di cellule umane, formando il microbiota, ossia la flora batterica. Una biomassa che rende ogni essere umano unico e differente a livello biologico: la “finger print batterica”, infatti, ci identifica al pari dell’impronta digitale, del tono della voce o dell’iride. Il microbiota non è da confondere con il microbioma che, invece, è l’insieme delle migliaia di geni che questi microrganismi custodiscono. La ricchezza e la diversità del microbioma permettono che i diversi microrganismi creino dei veri e propri “network” che lavorano in sinergia e si aiutano a sopravvivere. «L’impronta batterica intestinale, cioè il microbiota – spiega la professoressa Patrizia Brigidi, Docente di Biotecnologia delle Fermentazioni presso il Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie di Bologna – è il risultato di moltissime variabili, come l’etnia, la posizione geografica e lo stile di vita e svolge molteplici funzioni influenzando la fisiologia, i processi metabolici dell’organismo e, di conseguenza, lo stato di salute». La diversità dell’impronta batterica varia da persona a persona, influenzata dal momento in cui si forma: molte tesi scientifiche sostengono che il feto si sviluppi in un ambiente sterile, che viene colonizzato per la prima volta con la nascita, su cui impatta anche il tipo di parto che differenzierebbe i microrganismi con cui il neonato entra in contatto. «Il microbiota dei bambini nati con parto naturale – aggiunge la dottoressa – tende ad essere arricchito con batteri simili al microbiota vaginale materno, come ad esempio il Lactobacillus, mentre nei piccoli nati con il cesareo, è costituito in prevalenza da batteri epiteliali associati anche all’ambiente ospedaliero, tra cui lo Streptococcus». Dalla nascita ogni “contaminazione batterica” arricchisce ulteriormente il microbiota del neonato, influenzato anche dal tipo di allattamento o dai cibi introdotti con lo svezzamento. La formazione del microbiota è variabile fino a circa 3-4 anni, poi la sua composizione tende a stabilizzarsi, diventando molto simile a quella dell’adulto, rimanendo comunque “viva” e “dinamica”. «Ad esempio chi nasce in Paesi industrializzati ha una varietà di batteri intestinali inferiore rispetto agli abitanti di Paesi rurali come Burkina Faso, Malawi e Venezuela – precisa Brigidi – e la perdita della ricchezza microbica può essere causa di infiammazione che, se non viene riequilibrata da batteri buoni, può cronicizzarsi». Per far sì che la ricchezza batterica intestinale non si impoverisca delle sue specie, occorre agire sullo stile di vita, rendendolo quanto più sano e attivo possibile, mangiando bene con una dieta equilibrata e integrata, ricca di fibre e di alimenti che in natura contengono batteri “buoni”, come bifidobatteri o lactobacilli, presenti in yogurt, miso, crauti e tofu e diversi altri alimenti». Se qualche evento (inter)rompe l’equilibrio e impoverisce la specie batterica, il microbiota va in “disbiosi”: ecco allora comparire disturbi intestinali, come gonfiore addominale, mal di pancia e irregolarità nella motilità, con diarrea o stipsi. Equilibrio che può essere ripristinato con la correzione delle cattive abitudini e l’assunzione di integratori alimentari contenenti batteri vivi, in diversi ceppi e specie, meglio noti come probiotici che contrastano la proliferazione dei batteri patogeni. «Con un probiotico multiceppo, multispecie e multigenere – conclude la dottoressa – è possibile integrare i microorganismi mancanti e ostacolare la proliferazione di quelli non idonei, favorendo così la colonizzazione intestinale». Oggi esistono integratori che possono essere scelti in base alle proprie preferenze, allo stile di vita e alla “finger print”. Perché la buona salute dipende anche dal nostro secondo cervello: l’intestino, appunto, e la sua flora batterica.
Francesca Morelli