“Lucille degli Acholi”: in un libro-fumetto la storia di un “medico per vocazione”

“Essere medico non è una professione, ma una vocazione, un modo di dedicarsi alle persone. E se lo fai, perché non farlo per chi ne ha maggior bisogno?” Era questa la filosofia di vita di Lucille Teasdale, medico-chirurgo canadese che sposa negli anni ’60 il dottor Piero Corti, fratello del celebre scrittore Eugenio, e insieme decidono di trasferirsi in Uganda e fondano, nel 1961, il Lacor Hospital a Gulu, oggi uno dei maggiori ospedali no-profit di tutta l’Africa Equatoriale, con circa 700 dipendenti, tutti ugandesi. Tra le mura dell’ospedale, costruite per proteggere i sanitari dagli attacchi dei ribelli durante il conflitto civile negli anni ’70-’80, sorgono anche le scuole per infermiere, ostetriche e assistenti di sala operatoria, dove oggi studiano circa 600 giovani. L’ospedale è infatti diventato polo universitario della Facoltà di Medicina di Gulu e contribuisce a formare il personale sanitario del Paese.

La storia di questa donna viene oggi raccontata in un libro a fumetti, “Lucille degli Acholi”, scritto e illustrato da Ilaria Ferramosca e Chiara Abastanotti. Una testimonianza tangibile del suo coraggio di diventare chirurgo in un’epoca in cui alle donne era molto difficile intraprendere questa professione, della sua generosità, del suo spirito di abnegazione che la porta ad abbandonare le comodità del suo Paese, il Canada, per andare in Africa ad aiutare i poveri, affrontando i pericoli di una guerra civile, durante la quale viene infettata da un soldato nel corso di un intervento chirurgico e dopo diversi anni lei stessa muore di AIDS, un’infezione che all’epoca non aveva ancora terapie.

<Mia mamma ha dato la sua vita per l’Ospedale di Lacor>, commenta la figlia Dominique Atim, che oggi gestisce la Fondazione Corti che finanzia ancora l’Ospedale. <Io stessa consideravo l’ospedale come un “fratello”, con il quale dover condividere la stessa mamma. Mi portava sempre in ospedale con lei e a 13 anni ero già ferrista in sala operatoria. Con i miei genitori non si parlava altro che dell’ospedale, dei malati, degli interventi chirurgici da programmare. A 16 anni ho deciso di venire in Italia a studiare e questo mio “allontanamento” è stata forse la più grande sofferenza di mia mamma. E in un certo senso anche per me: ho studiato e vivo in Italia, ma il mio cuore è rimasto in Africa, all’Ospedale di Lacor, dove ancor oggi ritorno diverse volte all’anno e grazie alla Fondazione contribuisco al mantenimento di questa struttura che oggi ha 700 dipendenti, tutti ugandesi, che curano 250 mila malati all’anno. Molti dei dipendenti della mia generazione, a cui ero molto affezionata, purtroppo non ci sono più, e hanno lasciato il posto a giovani medici e infermieri che sono subentrati e gestiscono oggi le attività dell’Ospedale. Da un piccolo seme è nato un grande albero frondoso. E’ questa la bellezza della nostra umana avventura: sedersi sulle spalle dei giganti che ci precedono per vedere più lontano di loro. Scegliere, nutrire e restare fedeli al proprio sogno, per diventare a propria volta nuovi giganti che reggono sulle loro spalle il futuro. In un cammino in cui non si resta mai soli!>.

Paola Trombetta

 

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