Fino al 2 novembre, a Milano, la Biblioteca quattrocentesca all’interno della Chiesa di Santa Maria Incoronata, un vero tesoro segreto della città (corso Garibaldi 116, orario: 11-21) apre le porte alla mostra Spazi variabili: a confronto, dipinti di due artiste di primissima linea sulla scena artistica contemporanea, a livello internazionale: Cinzia Fiaschi e Tina Sgrò. Due donne, diversissime, apparentemente agli antipodi. Cinzia Fiaschi, 41 anni, toscana, artista visiva e performer di action painting (improvvisazione pittorica), un’astrattista dal temperamento teatrale e gestuale. Tina Sgrò, calabrese, 42 anni, figurativa dai toni intimisti e sussurrati. Due mondi pittorici totalmente diversi per un racconto d’amore e di sensualità a due voci intenso, potente, tutto giocato sulla forza del colore e della luce, sull’energia della pennellata e sulla carica emozionale.
Con Elegia di Madonna Fiammetta, Fiaschi, come si legge nella presentazione a catalogo, “ha voluto restitutire alla contemporaneità suggestioni ed emozioni” tratte da ogni capitolo dell’omonima opera di Giovanni Boccaccio dove, sotto forma di diario (un Boccaccio al femminile), Fiammetta racconta in prima persona il folle suo amore verso il giovane Panfilo. La passione accecante, la gioia dei primi incontri, la disperazione e la rabbia per l’abbandono. Su grandi tele di diverso formato l’artista (nativa di Certaldo, proprio come il Boccaccio) reinterpreta – attualizzandole e filtrandole attraverso la propria intuizione artistica – le contrastanti emozioni di Fiammetta, nei forti giochi di cromie, nelle alternanze di buio e luce, dove la pennellata viaggia sciolta, perentoria, in tutte le direzioni possibili con furore ed energia, il tratto ora cruento, ora dolce.
Tina Sgrò, nelle sue tele oli e acrilici, si sofferma invece su una dimensione intima e segreta. Stanze intrise di silenzi, gonfie di ricordi, segreti inconfessabili, oggetti abbandonati. Salotti, boudoir, camere da letto, poltrone e sofà di altri tempi, spesso venati di atmosfere soffuse, persino retrò, studi riccamente arredati raccontano abbandoni sensuali in una luce trasognata, attimi di sospensione. Il colore di Tina Sgrò è modulato in tinte pastose, umbratili, inframmezzate da accensioni purpuree. Stanza dopo stanza, uno spazio-tempo tutto interiore e immateriale. Ma anche “non luoghi” della realtà metropolitana, fatti di stazioni, caselli, di periferie. Città deserte, navate di chiese senza fedeli dense di penombre. Giustamente la sua è stata definita una poetica dell’assenza, o meglio che evoca la presenza di qualcuno che non c’è. Dipingendone in realtà l’assenza riesce a disvelarne il mondo intimo e la storia. Per la Sgrò, musa ispiratrice delle sue tele è Ellen Olenska, la protagonista de L‘Età dell‘innocenza, il romanzo della scrittrice americana Edith Wharton, pubblicato nel 1920 con cui l’autrice vinse nel 1921, prima volta per una donna, il premio Pulitzer.
Spazi variabili declinati al femminile, dunque: attraverso contrasti e affinità elettive, in grado di innescare una serie di emozioni forti ma anche lo stimolo a guardare oltre le apparenze. E farsi sorprendere. Da un quotidiano fatto di dettagli preziosi. Come dice Tina Sgrò: “Il mio sguardo indaga continuamente, riuscendo a individuare dietro l’insignificante, una grande dimensione emozionale. Questa è la mia arte… guardare oltre, questo è il mio scopo”. Sì, così vuole essere anche il nostro sguardo.
(Cristina Tirinzoni)