Diritto al lavoro agile per pazienti (oncologici, ematoncologici e non) in terapia e per i caregiver per almeno due anni dalla diagnosi, acquisizione di nuove competenze e formazione, accordo individuale tra azienda e lavoratore in tema di lavoro agile, possibilità di trasferimento nella sede di lavoro più vicina al luogo di cura o al proprio domicilio: sono queste le istanze dei lavoratori che convivono con un tumore, raccolte dal Gruppo di 39 Associazioni pazienti “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”. Bisogni, richieste e priorità al centro di un documento presentato alle Istituzioni con l’intento di integrare la disciplina normativa vigente sul lavoro agile per le categorie in particolari condizioni di salute e per i loro caregiver. «La consultazione online promossa dal Gruppo – dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna Onlus e Coordinatrice del Gruppo – ha confermato che i lavoratori più fragili considerano il lavoro agile un’opportunità “vantaggiosa” dal punto di vista produttivo, clinico, psicologico e della vita privata, tale da consentire di sentirsi socialmente utili, mantenendo attive le mansioni e il proprio ruolo, laddove possibile». Il lavoro per questa classe di popolazione deve essere tutelato istituzionalmente: «Lavorare in modo agile e bene si può – afferma Tiziana Nisini, Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – ma occorre disciplinare la materia per evitare situazioni di conflitto tra lavoratori e datori di lavoro, soprattutto in caso di pazienti oncologici e oncoematologici. Abbiamo il dovere di ascoltare le richieste delle Associazioni dei pazienti e tradurle in una normativa che metta in primo piano i loro bisogni». Recentemente sono stati presentati alla Camera e in Senato 5 Disegni di legge trasversali ai gruppi parlamentari, accumunati da uno stesso obiettivo: rafforzare i diritti che tutelano il posto di lavoro, con particolare riferimento al lavoro agile. Tanto più che i benefici di questa forma di lavoro sono anche “terapeutici”: «La malattia non può e non deve spazzare via una vita di lavoro – aggiunge Claudia Borreani, Psicologa Responsabile della Psicologia Clinica dell’Istituto Nazionale Tumori (INT) di Milano – soprattutto se ci sono le condizioni per proseguire l’attività nella categoria di pazienti per cui il lavoro è una risorsa formidabile e non un fardello inconciliabile con la malattia. La normativa dovrebbe prevedere una rimodulazione e rinegoziazione, tutelando il lavoro e adattandolo anche alle effettive possibilità di una persona che vive una condizione di grave disagio fisico e psicologico come un tumore». Per molti la paura è che la malattia si trasformi in una motivazione di licenziamento o di declassamento: un aspetto molto sentito e molto grave dal punto di vista sociale, a dimostrazione che il posto di lavoro non è sufficientemente tutelato, in particolare in caso di malattie gravi come un tumore: «Chi si ammala di tumore – commenta Filippo de Braud, Direttore del Dipartimento e Divisione di Oncologia Medica dell’INT – ha un’altra grande preoccupazione: essere discriminato. Le Istituzioni, i politici, gli stessi medici e le persone che sono vicine al malato devono avere la sensibilità di evitare questo problema. Poter lavorare in modalità “agile” facilita la vita e la quotidianità dei pazienti oncologici e oncoematologici, facendo loro risparmiare anche la fatica degli spostamenti, permettendo la conciliazione cure-lavoro-vita privata e risparmiando tempo ed energie, soprattutto se sono in terapia, limitando anche il rischio di contrarre infezioni. Ma tutto questo è molto positivo se ben chiarito, normato e non discriminante». Una richiesta condivisa anche dai genitori di bambini affetti da tumore: «Il diritto di lavorare in modalità agile per i genitori, che sono di fatto i caregivers di questi pazienti, è un diritto fondamentale, irrinunciabile. È dimostrato – conclude Angelo Ricci, Presidente FIAGOP (Federazione Italiana Genitori Bambini e Adolescenti oncologici e Oncoematologici Pediatrici) – che questa modalità di lavoro consente di coniugare le esigenze lavorative del genitore/caregiver con le esigenze di cura del giovane paziente, ma solo se sussiste una normativa rigorosa, non discriminante per chi lavora in remoto e che garantisca uguali opportunità lavorative, di formazione e remunerative al pari del lavoratore in presenza».
Francesca Morelli