Il tumore ovarico è tra i più temuti, tra quelli femminili, a causa di diagnosi spesso tardive e di terapie non sempre efficaci. Come nel caso del carcinoma sieroso di alto grado, il sottotipo più comune, pari a circa l’80% dei tumori ovarici in stadio avanzato, a cui in gran parte dei casi è associata una prognosi infausta. In occasione della recente Giornata dei Tumori Ginecologici è stato pubblicato uno studio dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE), finanziato da AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), che potrebbe cambiare la storia di questo tumore. Pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, lo studio avrebbe messo in evidenza che l’aggressività e la scarsa risposta del carcinoma sieroso di alto grado alla chemioterapia è potenziata dalla mutazione di una specifica proteina, p53, soprattutto se legata a un’altra proteina, chiamata YAP, uno degli interruttori generali del cancro. Ma non è tutto: su questa relazione, già di per sé pericolosa, agirebbe un terzo elemento: il recettore dell’endotelina in partnership con un’altra importante molecola, la beta-arrestina. «I risultati della nostra ricerca – spiegano Anna Bagnato, alla guida dell’Unità di modelli preclinici e nuovi approcci terapeutici e Giovanni Blandino capo dell’Unità di Oncogenomica ed Epigenetica di IRE – individuano alcuni eventi essenziali per orchestrare le attività pro-metastatiche di questo tipo di tumore: un passo indispensabile per la messa a punto di strategie terapeutiche mirate». Lo studio avrebbe infatti fornito due importanti informazioni: la prima che, insieme, le tre proteine – beta-arrestina, p53 mutata e YAP – rappresentano una piattaforma di coordinamento per altri segnali, che consentono alle cellule tumorali di non rispondere al cisplatino, il farmaco di elezione nel trattamento del carcinoma ovarico. La seconda che è possibile interrompere questa “relazione” con l’ausilio di farmaci in grado di bloccare i recettori dell’endotelina. «Abbiamo identificato una nuova vulnerabilità delle cellule tumorali – conclude Gennaro Ciliberto, direttore scientifico IRE – che può ridurre l’aggressività del tumore sieroso dell’ovaio». Ovvero un farmaco capace di bloccare questi recettori e anche di rallentare la capacità di formare metastasi e di rendere le cellule tumorali sensibili alla chemioterapia. Un’ottima notizia per le 5200 donne che, in Italia, vengono colpite ogni anno da tumore ovarico, 300 mila nel mondo, di cui il 75% riceve un diagnosi spesso tardiva, in fase avanzata.
Francesca Morelli