All’indomani della Giornata dedicata alla Disabilità (3 dicembre), è stata presentata un’indagine, promossa da Ipsen, su oltre 500 pazienti reduci da un ictus: ha evidenziato che 9 persone su 10, tra quelle con occupazione lavorativa al momento dell’evento acuto, hanno subìto un impatto negativo nella loro attività. In particolare, i dati mostrano che i giovani tra i 30 e 44 anni sono i più colpiti in relazione alla carriera: circa 1 persona su 3 (34%) ha dichiarato di aver ridotto il proprio orario di lavoro e 1 su 4 (25%) è stata costretta ad abbandonare del tutto il lavoro. Lo studio evidenzia, inoltre, l’impatto che l’ictus ha anche sulla vita lavorativa dei familiari del paziente che, per quanto riguarda in particolare l’Italia, indica che il 35% ha dovuto assentarsi dal lavoro per prendersi cura del congiunto e il 12% ha dovuto rinunciare al lavoro per più di un anno.
Emerge inoltre che, circa la metà delle persone intervistate (49%), spera in un miglioramento della mobilità, e il 48% vuole prevenire un altro ictus; il 36% desidera un miglioramento della funzione cognitiva, il 29% la riduzione del dolore e il 23% il miglioramento del linguaggio. Per quanto riguarda l’informazione ricevuta dagli specialisti, in particolare sul deterioramento cognitivo come conseguenza di un ictus, circa il 30% degli intervistati in Italia ha dichiarato che l’informazione è arrivata nel corso di visite di follow-up.
Ogni anno, in Italia, sono 100 mila le persone colpite da ictus. I trattamenti riabilitativi, soprattutto se iniziati precocemente, sono in grado di permettere al paziente il ripristino di molte funzionalità compromesse e il recupero di una buona qualità di vita. La Past President dell’Associazione A.L.I.Ce. Italia O.D.V., Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, Nicoletta Reale, ha precisato: <Nel nostro Paese oltre 900 mila persone riportano gli effetti invalidanti dell’ictus. La Giornata internazionale delle persone con disabilità, celebrata il 3 dicembre, e l’indagine promossa da Ipsen, sono utili per aumentare l’informazione su questa malattia e le sue conseguenze, oltre che per sollecitare una più stretta comunicazione tra medici, pazienti e parenti, sapendo che la tempestività dell’intervento e il trattamento possono migliorare la qualità di vita di chi sopravvive all’ictus>.
Paola Trombetta